giovedì 12 giugno 2008

CIP6 e la lobby delle fonti pseudo rinnovabili

Si chiama Cip6 l'espediente italiano per incentivare la produzione di energia con fonti rinnovabili o "assimilate". E' stato istitutito con un provvedimento del 1992 del Comitato interministeriale prezzi e prevede delle agevolazioni per chi si dà all'energia alternativa: chi la produce ha diritto a rivenderla a un prezzo garantito, superiore a quello di mercato. I costi dell'incentivo sono finanziati con una maggiorazione del 6% sul costo dell'energia elettrica addebbitato direttamente sulla bolletta (leggi).
In teoria il Cip6 avrebbe potuto essere un provvedimento utile.L'asino casca sul termine" assimilate" che include anche la combustione di materiali fossili (il carbone) e dei rifiuti solidi urbani. In lieve contrasto con le direttive europee in materia.
La direttiva 2001/77/CE del parlamento europeo (leggi) non istituisce un regime di sostegno finanziario per l'utilizzo di energie rinnovabili. E le disposizioni nazionali che prevedono aiuti non differenziati per l'incenerimento devono dimostrare che sono compatibili con il principio della prevenzione della produzione di rifiuti e che non costituiscono un ostacolo al reimpiego e al riciclo dei rifiuti stessi.
Purtroppo per il parlamento europeo, le sue direttive non sono vincolanti. E vengono periodicamente eluse dal governo italiano (che quindi incorre in sanzioni e in provvedimenti disciplinari da parte dell'Unione Europea) che, nella trasformazione del dl sull'emergenza rifiuti in legge di stato prevede il ritorno del Cip 6 per alimentare la lobby di chi realizza e gfestisce gli inceneritori. Pardon, è più chic chiamarli termovalorizzatori, visto che trasformano la monnezza in energia più o meno pulita. Dipende dai punti di vista e in Italia il relativismo è d'obbligo visto che l’emendamento presentato dal deputato campano del Pd, Tino Iannuzzi con il quale "vengono concessi incentivi Cip 6 anche ai termovalorizzatori di Napoli, Salerno e Santa Maria La Fossa, oltre a quello di Acerra" di certo rappresenta "la soluzione per l’emergenza rifiuti in Campania ma l’ ennesimo freno allo sviluppo delle fonti
rinnovabili nel Paese, ed un regalo alla lobby dell’incenerimento", come ha detto il presidente campano di Legambiente, Michele Buonomo.
Si tratta di un cane che si morde la coda e infondo basta attivare appena due neuroni per capirlo. Bruciando rifiuti si produce calore ed energia (la famosa cogenerazione), remunerati a un prezzo garantito. In teoria è prevista la combustione soltanto del Cdr, combustibile da rifiuti precedentemente trattato in appositi impianti per ulteriormente perfezionare la raccolta differenziata effettuata in casa. Una tale selezione riduce però drasticamente la quantità di rifiuti da bruciare e di conseguenza l'energia che se ne ricaverebbe, con gli attinenti guadagni. Siccome il ciclo dei rifiuti in Campania è gestito unicamente dall'Impregilo per la costruzione e gestione del termovalorizzatore di Acerra come per la raccolta dei rifiuti in città, per la produzione del Cdr e assimilati il risultato sono, semplicemente, le ECOBALLE. Il talequale. Pacchetti di monnezza indifferenziata e imballata che ospita di tutto.

"No all’estensione dei contributi ’Cip 6’ per la realizzazione di tre termovalorizzatori in Campania": è l’appello di Fabio Rampelli e Marco Marsilio, deputati del Pdl. I due parlamentari affermano in una nota che "la
commissione Ambiente della Camera ha fatto male ad accogliere l’emendamento del Pd che prevede l’estensione dei contributi Cip
6", derivanti da una quota delle bollette della luce degli italiani, "per la realizzazione dei termovalorizzatori di Salerno, Napoli e Santa Maria La Fossa".
"Non dobbiamo perseverare nell’errore di utilizzare questi fondi destinati alle energie rinnovabili a favore dei termovalorizzatori - sottolineano i due parlamentari -. L’emendamento del Pd è inutile ai fini dell’emergenza rifiuti,
la copertura finanziaria per la realizzazione di questi termovalorizzatori già c’è, e questa estensione del Cip 6 serve solo a garantire gli interessi delle società che
realizzeranno gli impianti per poi averne anche la gestione, creando una danno economico allo Stato".

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