mercoledì 26 ottobre 2011


Oggi faccio la napoletana”. Si è presentata così, Teresa De Sio, quando ha esordito martedì 25 ottobre al Circolo Dei Lettori di Torino, ospite dell'associazione culturale NoveLune. “E faccio la brigantessa, perché ho riscoperto una parte della storia della mia terra che parla di personaggi, uomini e donne, che sono stati protagonisti di storie importanti della mia terra ai tempi dell'unità d'Italia che si festeggia oggi. Molti scrittori detti revisionisti lo stanno raccontando come non ci hanno mai spiegato i libri di scuola, cercando di rimettere le cose a posto. Pino Aprile, con Terroni, è uno di questi”.

“Ma il mio è anche un brigantaggio intellettuale” sottolinea Teresa. “Mi piace raccontare le cose da un punto di vista altro, sperimentare suoni e messaggi nuovi, approfondire ogni sensazione e forma di comunicazione per non fermarmi ai prodotti precotti, omologati e insapore che ci propina il sistema di annichilimento di massa”.

Tra senso critico spietato e pietas ecco allora “Tutto cambia”, il nuovo album uscito il 20 settembre per raccontare la voglia di cambiamento, di sperimentazione e di comunicazione di Teresa De Sio attraverso la musica folk “che mette in movimento la gente, il corpo, l'intelligenza e per questo fa paura” e grazie alla forza del dialetto napoletano che influenza e condiziona il modo di esprimersi anche quando canta e parla in italiano. “Il degrado culturale che sta investendo il nostro paese, originato dalla politica, non è casuale, ma manovrato e voluto, perché solo in un humus fatto di ignoranza, rozzezza e volgarità può attecchire l'unico senso della vita che sono intenzionati a trasmetterci, quello ispirato dalla logica dell'acquisto come unico modo per essere felici e dare un senso alla propria esistenza”.

Stesso discorso per la musica – fa notare Teresa – Quella che ci propinano i mass media è costantemente caricata a salve, anestetizzante, priva di contenuti ma piena di canzoni che replicano se stesse come fantasmi” L'unica cosa importate da dire sembra la crisi di coppia, mentre sono infiniti gli argomenti che meritano di essere messi in musica”. Un moto di orgoglio nazionale la scuote. “Che diamine, siamo italiani! Possiamo vantare un vasto patrimonio musicale che affonda le radici nella canzone tradizionale, napoletana e non solo, e che è patrimonio dell'umanità intera. Quella stessa musica e quei medesimi contenuti che non passano i media perché il movimento fa paura. Ma quel movimento comincia a conquistare le coscienze”.

Dal generale al particolare, Teresa De Sio dedica una riflessione anche alla sua Napoli: “Il mondo dei vicoli e degli scugnizzi non esiste più. Napoli è cambiata. La criminalità la fa da padrone e il brutto sta superando il bello, che pure è tanto a Napoli e non bisogna dimenticarlo”. E questo degrado sta invadendo tutti i settori. “Oggi anche la musica e la poesia sono cambiate. La vittoria della parte rozza e violenta della città non ha prodotto l'aberrazione culturale dei neomelodici, sdoganati dagli intellettuali come la nuova voce della città, ma che sono l'emanazione della medesima cultura che mette le pistole in mano ai ragazzini”.

Teresa De Sio sarà nuovamente a Torino in concerto il 21 gennaio 2012.

lunedì 26 settembre 2011

Solitudine e Indifferenza: due amiche al bar di Torino

A Torino può succedere anche questo, e nessuno se ne scandalizza. L'indifferenza è l'amica di tutti i giorni, la solitudine le fa compagnia, e insieme valtanno a braccetto in un bar storico del centro. Dove c'è la ressa e si avvicina l'ora dell'aperitivo. Quando, la domenica mattina, arriva la gente bene e non si può non notare le due amiche, indifferenza e solitudine, che per l'ultima volta fanno sfoggio della loro inseparabile amicizia.

Un colpo di pistola. Un rumore sordo che viene dall'interno del locale. Gli avventori si guardano intorno, e poi continuano a sorbire il loro aperitivo nell'elegante dehor di quell'elegante e storico bar del centro di Torino. Indifferenza, da sola, vagola tra i tavoli e guarda in faccia la gente. Decine di persone indifferenti mentre la polizia scientifica, i vigili del fuoco, i medici vanno avanti e indietro per aprire la porta del bagno e trovare, riversa in una pozza di sangue, la signora solitudine che si è sparata un colpo di pistola alla tempia.

C'è gente, non mi sembra proprio il caso di chiudere il locale proprio adesso. Sarà roba di qualche minuto”, rassicura la proprietaria di quello storico bar del centro di Torino, e continua a distribuire caffè, aperitivi e sorrisi. Non c'entra nulla la compassione o il senso di solidarietà. Un morto è morto, ma la vita va avanti.

Indifferenza, sulla porta del locale, osserva la scena. I clienti sono curiosi di sapere cosa sta succedendo. “Nessun vip – rassicura un agente della polizia – solo un suicidio”. Gli avventori possono stare tranquilli e continuare a sorbire l'aperitivo.

Il bagno è momentaneamente fuori servizio” si scusa la proprietaria. “I vigili del fuoco hanno rotto la serratura per aprire la porta e per un po' non sarà possibile entrare”.

I clienti si rassegnano a trattenere le loro esigenze fisiologiche. E trattengono anche uno sbadiglio mentre osservano Solitudine che, sulla barella e coperta con il telo bianco, esce dalla porta secondaria del locale accompagnata dai medici dell'ambulanza. Non è il cadavere di Mappatella beach, nè il morto ammazzato in un bar del quartiere Sanità. Quindi non interessa a nessuno se Indifferenza domenica è stata a Torino.

L'ambulanza si allontana. Solitudine, sola e dimenticata, scompare all'angolo della strada. Ma Indifferenza ha trovato tanti nuovi amici. A Torino è davvero in buona compagnia!

martedì 23 agosto 2011

La replica del Prof.Barbero

Caro architetto Lanzetta, e cari tutti che avete ripreso la sua lettera aperta,su un punto devo chiedervi scusa. Non mi ero mai reso conto di quanto parlare di camorra o parlare della vicenda dei detenuti di Fenestrelle sia diventato delicato, in questo paese dove le sensibilità sono esasperate e le spaccature regionali sono arrivate a livelli di odio. La camorra e Fenestrelle sono due problemi ben diversi, in realtà: l'uno, una tragedia attuale del nostro paese (tutto, mica solo di Napoli); l'altro, un episodio del passato, con risvolti vergognosi, sì, ma oggetto attualmente di una vera e propria mistificazione (abbiate pazienza, ci ritornerò). Non importa: tutt'e due i problemi (e potrei aggiungere la rivolta di Masaniello, che egualmente ho toccato in quell'intervento e mi ha attirato da Napoli lettere di insulti) oggi toccano una suscettibilità così esasperata, e qualunque accenno a questi temi provoca reazioni così violente, che viene voglia di non parlarne neanche più (che non sarebbe, lo vedete anche voi, un bel risultato). Io questo non lo sospettavo, e non lo sospettava neanche Piero Angela, così attento – molto più di me – alle aspettative e alle reazioni degli spettatori. Capisco ora che sentirci discorrere col sorriso sulle labbra di questi argomenti ha ferito delle sensibilità, e di questo chiedo scusa.Detto questo, non devo chiedere scusa di nient'altro, e mi piacerebbe che anche voi provaste a guardare con uno sguardo oggettivo e critico la lettera aperta che mi avete indirizzato e, in tanti, rilanciato. Voi avete creduto automaticamente che parlare della camorra, e dire una verità storica ovvia, cioè che la camorra è un fenomeno radicato a Napoli da molto tempo, significhi denigrare Napoli. Non è così, proprio come dire che in passato in Piemonte ci sono state reazioni vergognose di razzismo contro gli immigrati dal Sud non significa denigrare il Piemonte; dire che la politica coloniale dell'Italia in Libia è stata criminale non significa denigrare l'Italia (erano i governi democristiani degli anni Cinquanta che la pensavano così, e processavano gli storici che osavano parlare di queste cose); e nemmeno riconoscere gli errori che la dinastia sabauda e il governo italiano hanno compiuto nel gestire l'Italia unificata significa denigrare qualcuno.Per voi, invece, il solo fatto di parlare di quegli argomenti significa denigrare Napoli. Scusatemi, ma non sono d'accordo, anche perché altrimenti parlare dei crimini dei Savoia vorrebbe dire denigrare il Piemonte, e io a questo gioco mi rifiuto di starci! Voi volete "invitare quanti si esprimono su Napoli, i Napoletani e la Napoletanità, ad un soggiorno adeguatamente lungo in quella città", ma quando mai io mi sono espresso su Napoli, i Napoletani e la Napoletanità? Napoli è una città che conosco e amo, dove ho avuto una borsa di studio dell'Istituto Croce, dove ho dei parenti: per questi motivi dovrei tacere che la camorra è un fenomeno napoletano? Napoli è stata, ed è ancora, una grande capitale, sede di una vita intellettuale sofisticatissima, e al tempo stesso è una città nei cui quartieri popolari è radicata, ed era radicata anche in passato, la camorra: è vero oggi e a quanto pare era vero anche nel Seicento, e perché mai uno storico non dovrebbe dirlo? Ma non vedete che qui la vostra sensibilità è esasperata, e vi porta a una reazione fuori luogo? E' terribile, guardate, che ogni intervento, ogni affermazione, ogni studio storico che riguarda Napoli e il Sud sia sentito come una presa di posizione in una battaglia pro o contro: così non si fanno né memoria né storia, e invece l'Italia ha un gran bisogno di tutt'e due (e più di storia, che cerca di essere fredda e oggettiva, che non di memoria). Lo ripeto: se vi ha urtato il fatto che parlando di camorra io abbia sorriso, lo posso capire. Sono argomenti di cui bisogna parlare solo apprezzandone la tragicità. Ma leggendo la vostra lettera quello che traspare è che secondo voi io di quell'argomento non avrei dovuto parlare affatto, perché il solo fatto di parlarne significa "dipingere Napoli come un'eccezione", "denigrare un popolo" e via di questo passo. Ma vi rendete conto (so che non è questa la vostra posizione, sia chiaro) che questo è lo stesso, identico atteggiamento che ha spinto certa gente a prendere le distanze da Roberto Saviano? Quanto al fatto che il Risorgimento abbia avuto pagine nere, che la dinastia dei Savoia (che non ha certo le mie simpatie: io, se volete sapere le mie posizioni ideologiche, sono comunista) abbia governato per lo più assai male questo paese, che lo stato italiano (non piemontese: abbiate pazienza, ma anche voi dovete imparare a uscire dai luoghi comuni e dire le cose come stavano: quello era lo stato italiano, l'esercito che ha represso il brigantaggio era l'esercito italiano, reclutato in tutto il paese compreso il Mezzogiorno, il governo era il governo italiano, pieno di ministri provenienti da tutte le regioni e anche meridionali) abbia gravi colpe, chi mai nega tutto questo? Ma come potete esservi abituati a pensare in modo così elementare, da credere automaticamente che se uno parla della camorra, allora attacca Napoli e difende i Savoia? Ma via!Insomma: posso chiedervi di non continuare a pensare in bianco e nero, o peggio ancora, in termini di "noi e loro"? Di ammettere che l'industriale del Nord che si rivolge all'ecomafia e il camorrista del Sud che lo serve sono delinquenti entrambi? Non sarebbe così difficile, così come non dovrebbe essere difficile (generazioni di grandi studiosi meridionali l'hanno fatto, fin dall'indomani dell'Unità) indagare gli errori e le colpe dell'Italia unita senza per questo ricorrere alla favoletta infantile della prosperità borbonica (se qualcuno di voi salta sulla sedia, sono pronto al confronto anche su questo: ma con dati e cifre, non slogan).Due parole su Fenestrelle. Anche qui, sapete, bisogna uscire dai luoghi comuni. Noi in Piemonte amiamo quel luogo, che è stata una difesa della nostra indipendenza contro le invasioni straniere, e che anche nel suo ruolo di prigione ha simboleggiato molte cose giuste: pensate un po' che ci è stato rinchiuso l'arcivescovo di Torino, che si era opposto alle leggi che abolivano i privilegi della Chiesa e si era permesso di invitare il suo clero a disobbedire alla legge – e io non posso reprimere un brivido di orgoglio al pensare che il governo piemontese, allora, ha saputo fare questo, qualcosa che mai più un governo italiano di oggi o di domani oserebbe fare. Ebbene, noi piemontesi dobbiamo abituarci a sapere che questo luogo a noi caro è stato anche luogo di reclusione, e di morte, per migliaia di soldati napoletani deportati dal Sud: non è facile, ma dobbiamo farlo, e lo stiamo facendo. Allo stesso modo, caro architetto, cari tutti, sarebbe bene che dall'altra parte si smettesse di propalare luoghi comuni, di usare parole come lager e Auschwitz, che si incoraggiassero studi seri sul problema: si vedrebbe allora quali erano davvero le condizioni di detenzione, che erano diversissime a seconda dell'atteggiamento assunto dai detenuti; si potrebbe parlare di cifre in modo serio, evitando di confondere, come avviene adesso, l'insieme degli imprigionati al Nord con i prigionieri deportati a Fenestrelle, che furono solo una minoranza del totale; si avrebbero finalmente delle cifre serie sui morti; e si potrebbero fare dei confronti con le condizioni in cui erano detenuti i prigionieri di guerra, e i relativi tassi di mortalità, nelle altre guerre dell'epoca, ad esempio la guerra civile americana (e conoscendo quei casi, sono abbastanza sicuro che Fenestrelle non risulterebbe un luogo di detenzione peggiore di quanto non fosse consueto nelle guerre di allora). In ogni caso, vi prego di riflettere e di dirmi che cosa, in quel che ho detto, possa mai essere descritto come rivolto a "negare ciò che già si sa ed è stato pubblicato": ciò che si sa davvero, ahimé, è poco, e sarebbe bene che se ne sapesse di più, anche perché nessuno fa così male alla verità storica di chi "crede" di sapere già tutto.Finalmente, scusatemi ma le ultime righe della vostra lettera aperta mi suscitano al tempo stesso simpatia e ribrezzo. Tutti vogliamo costruire una società italiana migliore, ma il modo per farlo non consiste nello schierare una parte d'Italia contro l'altra e nell'individuare (centocinquant'anni dopo!) dei nemici da aggredire. "Ci avete tolto la memoria"? A chi si riferisce esattamente questa seconda persona plurale? A me, per caso? O ai piemontesi, colpevoli evidentemente di appartenere a una razza inferiore? Su quale gruppo umano scaricate questa responsabilità collettiva? Mi piacerebbe molto saperlo, ma dubito che possiate dirmelo; anzi, meglio: ho fiducia che, riflettendoci, anche voi riconoscerete che questo linguaggio non ha senso. In questo modo parlavano i nazisti, non si parla così in un confronto civile e in una democrazia.Ancora una cosa, a momenti me ne dimenticavo: qualcuno di voi mi chiede "la nota bibliografica di tali ricerche, oltre che di quelle relative all'alleanza altresì di natura camorristica che si sarebbe instaurata tra detenuti "Napolitani" a Fenestrelle e carcerieri ugualmente "Napolitani"". Premetto che "tali ricerche" non hanno per nulla a che fare, come mi viene contestato, con "la matrice camorristica innata nella natura napoletana", linguaggio questo che non c'entra nulla con il mio mestiere, la storia: dubito che esista la "natura" napoletana, semmai esistono la storia, la cultura, la civiltà, la tradizione; e dubito, anzi no, so per certo che in tutto ciò non c'è proprio niente di "innato". Detto questo, i documenti che secondo me dimostrano molto chiaramente l'appartenenza di Masaniello ad ambienti simili a quelli dell'odierna camorra, e configurano la sua immagine come quella d'un boss di quartiere, sono presentati nella biografia di Silvana D'Alessio, storica dell'università di Salerno, Masaniello, edita a Roma nel 2007 dalla Salerno Editrice. Il fatto che i detenuti a Fenestrelle nei primi anni Sessanta dell'Ottocento giocassero a soldi, e che guardie – anch'esse di origine meridionale, come risulta dai loro dati anagrafici – prelevassero sulle vincite al gioco una tangente giustificandola come "diritto di camorra" risulta testualmente dai verbali di un processo per il ferimento d'un detenuto; la documentazione è conservata all'Archivio di Stato di Torino ed è stata esposta recentemente in una mostra documentaria intorno ai problemi dell'Unità d'Italia. Siccome in molte mail che ho ricevuto questo particolare è stato accolto con incredulità e derisione, dovrei forse sottolineare che il gioco d'azzardo nelle prigioni di una volta era molto diffuso, e che non aveva nessun carattere allegro o giocoso: nella società del passato, il gioco è sempre stato praticato con disperazione proprio negli ambienti più marginali e miserabili. Quanto al fatto che delle guardie potessero essere anch'esse meridionali, che pure ha suscitato stupore, vi invito a riflettere che lo scopo della detenzione di tante migliaia di soldati a Fenestrelle era appunto di convincerli, con mezzi che oggi possiamo tranquillamente definire indegni di un paese democratico, a prendere servizio nell'esercito italiano.Sperando di ricevere da voi molte repliche, e di poter continuare la discussione, vi saluto cordialmente (non senza aggiungere, per quelli di voi che me l'hanno chiesto, che sono pronto a qualunque incontro o intervista).Alessandro Barbero

Masaniello e l'innata predisposizione al crimine



LETTERA APERTA AL PROF. ALESSANDRO BARBERO E AL DOTT. PIERO ANGELA

OGGETTO: RIFLESSIONI SULL’INTERVENTO DEL PROF. ALESSANDRO BARBERO DURANTE LA TRASMISSIONE SUPERQUARK DELL’11/08/2011.

Viene voglia, a sentire certi interventi, di invitare quanti si esprimono su Napoli, i Napoletani e la Napoletanità, ad un soggiorno adeguatamente lungo in quella città, come facevano i viaggiatori del Grand Tour, come ha fatto anche Goethe che, pur essendo uomo del Nord, è stato capace di liberarsi da sciocchi e superficiali pregiudizi e dimostrare, attraverso i suoi scritti, di aver ben compreso certe caratteristiche di questa complessa metropoli e dei suoi abitanti.
Mi piacerebbe, professore, guidarla sull’isolotto di Megaride, al centro del Golfo. Spalle al mare, e sguardo alla città, portarla indietro nel tempo, togliere strade, case, rumore, farle immaginare come fosse all’epoca dei fondatori. Un promontorio e un’isoletta al centro del Golfo, a oriente il Vesuvio, ad occidente la penisola flegrea con Procida ed Ischia. Fondata due volte, scelta due volte, quindi, tra fuoco e mare.
E farle comparire davanti agli occhi, poco alla volta, la città storica, e i suoi segreti. Già, perché Napoli è una città misteriosa e sorprendente. Mi piacerebbe mostrarle quello che in nessuna guida c’è. Un palazzo settecentesco a salita Cristallini con scale intagliate nel tufo che si aprono su giardini nascosti e ad altezze differenti, fino ad arrivare ad una scala ellittica a forma di cono rovesciato che sbuca in alto nel verde. Mi ha sempre ricordato ‘Grattula Beddattula’, la versione siciliana della Cenerentola. Nella fiaba il pozzo mette in contatto due mondi, attraverso un’apertura segreta.
E poi, perché no? farle fare un giro a Rua Catalana, nei luoghi della novella di Boccaccio che racconta le vicende di Andreuccio da Perugia.
Vede, professore, non è tanto quello che lei, sorridendo amabilmente ha detto (tra parentesi mi piacerebbe avere indicazioni più precise sui documenti ai quali in trasmissione avete fatto riferimento), ma è il come lo ha detto e come certe argomentazioni possono essere recepite dal telespettatore medio che magari tante cose non le conosce.
Dalle sue parole sembra quasi che la camorra oppure una certa attitudine alla delinquenza siano un tratto caratteristico dei Napoletani. A riprova, cita le descrizioni della città contenute nel Decameron. Per brevità voglio soffermarmi solo sulla novella di Andreuccio da Perugia.
La vicenda si snoda tra la zona di Piazza Mercato e Rua Catalana. Era questa una parte relativamente recente della città, tra il nucleo più antico e il mare, costituita da borghi abitati da mercanti catalani, pisani, genovesi, veneziani, marsigliesi, fiamminghi…
L’origine dei borghi è da collocarsi in epoca normanno-sveva. I Napoletani ‘doc’ abitavano più a monte, sull’altopiano che ospitava Neapolis e sulle colline circostanti. Non dimentichiamo che gran parte del pericolo proveniva dal mare e gli insediamenti sulle colline consentivano una più efficace difesa. Inoltre, tenersi più in alto offriva riparo dal rischio di alluvioni quando i numerosi torrenti, che da quelle colline si riversavano più a valle negli alvei del Clanis e del Sebeto, si ingrossavano troppo.
Sempre per rimanere sul Decameron, devo ricordarle il modo in cui veniva delineata la figura del mercante? Il mercante è un uomo astuto, accorto, spregiudicato, capace di inganni e stratagemmi per accrescere le proprie ricchezze.
Sembra uno dei luoghi comuni sui napoletani, vero? Peccato che questi mercanti venissero da tutt’altra parte.
Posso proporre, allora, una lettura meno superficiale? Tutte le città, specie le più grandi e quelle che sono sul mare, attiravano masse di persone, da vicino e da lontano, nella speranza di poter migliorare le proprie condizioni di vita, in modo più o meno legale. Ma allora, perché dipingere Napoli come un’eccezione? io credo per almeno due buoni motivi:
1)- denigrare un popolo, un’etnia è stato da sempre un espediente per autorizzare e giustificare qualche nefandezza verso quel popolo o quell’etnia. Spiego e semplifico: i negri d’Africa si potevano catturare, deportare ed usare perché non avevano l’anima, gli ebrei hanno ammazzato Gesù e quindi andavano sterminati, i meridionali si potevano ammazzare e deportare, derubare delle loro ricchezze e dei mezzi di produzione, perché incivili, rozzi, barbari e siamo nel meraviglioso Risorgimento Italiano.
2)- denigrare un popolo, un’etnia serve anche a stornare l’attenzione da ciò che di grave si è fatto o si sta facendo a quel popolo o a quell’etnia.
Vede, professore, Lei ha parlato di camorra come se fosse qualcosa di legato alla natura dei Napoletani, ma si è guardato bene dallo spiegare ai telespettatori –e in questo Lei, Piero Angela, ha retto il gioco- cosa ha consentito il salto di qualità a quelli che erano niente altro che delinquenti comuni. I Borbone li tenevano in prigione e Liborio Romano, prefetto di Napoli, per garantire l’ingresso nella città a Garibaldi, senza spargimento di sangue, si accordò con essi, condonò loro le pene e li fece diventare Guardia cittadina. Il nuovo Stato si rivolse alla camorra per mantenere l’ordine pubblico e costringere la popolazione ad accettare il nuovo governo. Successivamente, le cariche amministrative furono ricoperte dai Piemontesi e dai camorristi, che bisognava ricompensare per aver ‘facilitato’ in modo così efficace la nascita del nuovo Stato; e l’imprenditoria del nord ottenne le principali commesse, sottraendole agli imprenditori del sud. Una cosa terribile ed ancora attuale. Non ci crede, professore?
È proprio di qualche giorno fa la notizia della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto n° 138/2011 che abolisce il Sistri, il nuovo sistema di tracciamento digitale dei rifiuti che avrebbe dovuto entrare in vigore dal prossimo 1 settembre. ‘Un regalo alle ecomafie’, è stato detto. Mi dica, professore, chi è più delinquente? L’imprenditore del nord che, per un profitto più alto, sversa rifiuti tossici a Sud, ben consapevole del danno ai territori e agli abitanti, o il camorrista che gli offre il servizio? E chi ha concepito il decreto, secondo lei, da che parte sta?
Ed infine, qualche parola sul suo riferimento agli internati nel Lager di Fenestrelle. Il suo intervento fa il paio con l’articolo a firma di Massimo Novelli su Repubblica dell’8 luglio u.s. intitolato ‘I morti borbonici a Fenestrelle non furono 40000, ma 4’. Lo spirito è identico: negare ciò che già si sa ed è stato pubblicato e sminuire ciò che è stato, nel tentativo di salvare la propria immagine. Per questa via non si cresce, ormai in tanti, anche a Nord, vedono il re nudo. Il suo intervento come l’articolo citato, hanno solo l’effetto di rafforzare in me, come in tanti altri, l’impegno e la determinazione nel divulgare, sapere e far sapere ciò che è stato fatto alla nostra civiltà mediterranea dalla monarchia sabauda, dalla Francia e dall’Inghilterra, con l’aiuto di mafiosi e camorristi.
Noi sappiamo che è l’unica via per costruire una società italiana migliore, sana, fondata su altre basi. Perciò, non ci arrendiamo. Ci avete tolto la memoria e noi ce la riprendiamo.

mercoledì 29 giugno 2011

Non è solidarietà

Dai microfoni di Radaltio24, stamane, sono piovute parole ingiuriose contro un popolo, una città, un sindaco colpevole di aver ereditato una emergenza e di essersene accollato l'onere di risolverlo per amore della propria terra. Per la voglia dir iscatto della propria terra. Mentre Oscar Giannino invoca, come soluzione finale e punizione divina, l'ira dello sterminator Vesevo. Mentre Edmondo Cirielli, presidente della Provincia di Salerno in quota Pdl, sottolinea che Salerno (100mila anime) non è Napoli, e non è giusto che paghi i danni d'immagine di essere vicina di casa ad una così scomoda città; mentre un radioascoltatore di Vicenza, in quota Lega, dice basta alla solidarietà, basta ai problemi del sud che pesano sull'Italia da 150 anni, basta alla cattiva pubblicaità che i problemi di altri creano sul eprfettissimo sistema Italia.

Dico basta anch'io. All'ignoranza di questa Italia che offende, che generalizza, che minimizza e che mortifica.

Napoli e il Sud dicono basta. Perchè il problema dei rifiuti non è un problema di Napoli, e l'Europa lo ha capito bene.

E' l'organizzazione del sistema rifiuti in Italia che è malato: la raccolta è affidata ai singoli comuni, l'organizzazione delle discarcihe alle Province, il coordinamento regionale alla Regione. I costi interamente ai cittadinii, e quelli campani pagano la più alta tassa dei rifiuti in Italia. E quelli napoletani l'hanno pagata per 5 anni a un'azienda di riscossione di Milano che non ha rigirato gli introiti alla Città: 32 milioni di euro.

E' l'individualismo italiano che ammazza il paese e ci mette gli uni contro gli altri. Non sto parlando di solidarietà, ma di comunità di intenti. Non è stato il sud a chiedere di essere annesso all'Italia, nè di essere liberato da sè stesso.

Il senso civico è la caratteristica precipua di Napoli, della Campania, del Sud. Lo è la solidarietà e la voglia di rimboccarsi le maniche per risolvere insieme i problemi, aiutarsi l'un l'altro per stare meglio tutti. Ma Napoli, la Campania e il Sud tutto non possono agire da soli, perchè fanno parte del'Italia unita governata da politici nordcentrici di ispirazione secessionista. Allora sta all'Italia rimboccarsi le maniche assieme al Sud, per risolvere un problema comune.

Date oggi alla nuova amministrazione una leva (levate la monnezza dalle strade) e domani i napoletani vi dimostreranno di che pasta sono fatti davvero. O devo credere che l'Italia abbia paura proprio di questo?

lunedì 27 giugno 2011

Appuntamento a Fenestrelle

Col tricolore ma vestiti a lutto, sabato 9 luglio al Forte di Fenestrelle, per rendere onore ai caduti dell'unità d'Italia. Come ogni anno, più degli altri anni, in questo 2011 che è il 150° anniversario dell'unità d'Italia, brucia la ferita di una storia dimenticata, rinnegata in nome dell'epopea risorgimentale che divide senza ombre né chiaroscuri i buoni dai cattivi, il torto dalla ragione, i leali dai briganti.

I comitati Due Sicilie e Insorgenza civile stanno portando avanti una battaglia importante, e il 9 luglio potrebbe essere una importante chiave di volta. Il punto di convergenza di una battaglia per la verità e la dignità che fino ad oggi è stata battaglia di pochi, e che da domani potrebbe trovare nel confronto e nello scambio una nuova linfa per raggiungere risultati concreti.

L'Italia ha un debito storiografico nei confronti del sud...

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http://www.mariagiovannaferrante.it/index.php/la-patriota

venerdì 17 giugno 2011

Spero che Napoli non debba pentirsi...

"Spero che Napoli non debba pentirsi della sua scelta elettorale" è stato il saluto con cui Berlusconi ha commentato la vittoria di De Magistris nel capoluogo campano che il centraltodestra dei Cosentino e co. già si illudevano di aver conquistato.

Sono trascorse due settimane da quel giorno. La Giunta De Magistris si è costituita, puntando su volti e personalità nuove. Il consiglio, che si è riunito ieri nella sua nuova veste e con una massiccia maggioranza di persone non compromesse con il sistema dei partiti, ha ratificato la discontinuità con il vecchio corso ed espresso la voglia di fare bene per il bene della città....

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www.mariagiovannaferrante.it

venerdì 3 giugno 2011

Fare il sindaco di Napoli - Lettera aperta a De Magistris


Fare il sindaco di Napoli è bello e terribile, più di qualunque altra cosa.

Sono le parole profetiche di chi sindaco di Napoli lo è stato, nel bene e nel male. Antonio Bassolino dalle pagine di Repubblica plaude al successo di De Magistris, neosindaco eletto plebiscitariamente da tanta parte di Napoli.

La gente stanca delle promesse della destra come della sinistra, che ha bisogno e voglia di riscatto, ha scelto lui per aiutarla a rialzare la testa. La gente stanca di sentirsi offesa chiede all’Italia e al mondo di guardare alla città campana come a un punto di riferimento per il paese; e ai suoi abitanti come cittadini di serie A come tutti quanti gli altri, con pari diritti e dignità.

Perché i napoletani di oggi hanno voglia di gridare al mondo che vivere a Napoli è bello e terribile, e non è uguale a nessuna altra emozione.

Dopo il bagno di folla e le promesse, all’indomani di una campagna elettorale trascorsa ad ascoltare le richieste della sua gente, è arrivato per De Magistris il momento di passare all’azione. Di progettare il futuro della città non soltanto con le parole.

Ma senza rinunciare alle parole.

Lo ha dimostrato martedì 31 maggio a Ballarò, rispondendo per le rime alle accuse del premier secondo cui candidare Mara Carfagna a sindaco di Napoli avrebbe significato vincere le elezioni al costo di consegnare il giovane ministro nelle mani della Camorra. Un insulto che i napoletani non si meritano e non hanno più intenzione di tollerare. Identificare il popolo meridionale con la criminalità è un’offesa alla dignità di persone oneste, benpensanti, politicamente e civicamente attive, intelligenti e sane. Ne è una riprova che il nuovo sindaco della città è proprio un ex magistrato, un uomo prestato dalla giustizia alla politica per garantire la “giustizia sociale”, la parità di diritti di tutti sul lavoro, nella sanità, nella qualità della vita.

Sono tanti i problemi che lo attendono sulla scrivania: il lavoro, l’emergenza rifiuti, la crisi sociale e finanziaria, la sicurezza, la scuola pubblica solo per citarne alcune.

Auguro buon lavoro a De Magistris, perché dopo essere stato Masaniello sappia trasformarsi in Filangieri. Perché dopo aver scassato sappia ricostruire. Sappia circondarsi di uomini nuovi che nulla hanno a che fare con la vecchia politica e contribuisca a regalare una stagione nuova alla sua e alla nostra città, perché sia di esempio per il rilancio del sud che si trasformerà in volano per la rinascita dell’Italia tutta.

lunedì 18 aprile 2011

Mieli: Italia ha debito storiografico con il Sud

Mieli: la verità sul Risorgimento


L'Italia ha un debito storiografico con il sud, e sono maturi i tempi perchè quel debito venga sanato per il bene dell'Italia intera” ha dichiarato Paolo Mieli, ex direttore de La Stampa e del Corriere della Sera, durante la lectio su Risorgimento e Antirisorgimento tenuta alla Biennale Democrazia. Di fronte a un luogo strategicamente fondamentale per il Risorgimento italiano, la sede del primo Parlamento italiano, il luogo dove Vittorio Emanuele II è stato nominato re di un'Italia suo malgrado unita, a Torino si è consumato un ancor più fondamentale momento di riflessione critica del procedimento storico che a quell'unità ha portato, con le sue luci e le sue ombre, e le sue colpe ancora da espiare.

Dopo 150 anni di verità taciute a causa di conflitti ideologici, storici e culturali tra cattolici e socialisti, laici e repubblicani, tra sensi di colpa e fuga ideologica dall'eredità fascista, sta affiorando nella gente il bisogno di raccontare le verità, anche scomode, che hanno portato ad un'Italia unita “che nessuno aveva programmato in questo modo, ad eccezione di Mazzini”.

Le verità troppo a lungo negate hanno invece bisogno di essere raccontate, come dimostrano i saggi storico critici sull'altra faccia del Risorgimento che vendono migliaia di copie. “E allora diciamolo – esorta Mieli – come hanno fatto gli USA raccontando tutti gli aspetti della guerra di secessione che mise l'uno contro l'altro il Nord e il Sud del paese. Perché il sud è stato conquistato con una durezza e un'asprezza di modi che non meritava” e che non è degna di un paese civile.

“Ricordiamo anche noi quel milione di vittime di una guerra civile, colpevoli di essere rimasti fedeli al proprio sovrano e di aver combattuto per la propria terra contro l'invasore. Smettiamo di chiamare briganti e di confonderli cin i criminali i partigiani meridionali che per 10 anni combatterono contro l'esercito sabaudo per liberare una terra invasa dallo straniero. Ricordiamo con rimpianto, ammirazione ed orgoglio gli oltre 10 milioni di immigrati che abbandonarono una terra dove non esisteva l'emigrazione, e che con ingegno e coraggio hanno fatto grandi i pesi dove si sono trasferiti (nord Italia incluso)”.

Smettiamola, soprattutto, di commettere ancora l'errore tutto italiano di fare dei sogni così grandi e ambiziosi da scontrarsi ogni volta con la limitatezza di orizzonti con cui siamo in grado di trasformarli in realtà”.

A 150 anni di distanza dai fatti che distrussero un regno florido, colpirono una popolazione attaccata alla corona e alla propria terra, unificarono territorialmente un paese frammentandolo socialmente e ideologicamente al proprio interno così da creare i presupposti per l'Italia divisa di oggi, è giunto il tempo che l'Italia sappia e che i giovani sappiano. Accompagnati nella nuova consapevolezza da insegnanti consapevoli di una frattura da colmare, di un debito da ripagare con cari interessi, “perché il sud riacquisti consapevolezza di ciò che è stato e di quanto importante possa tornare ad essere per il proprio bene e per l'Italia tutta”.


lunedì 11 aprile 2011

DIETRO LA RETE


Il piccolo mondo all´interno del campo è diviso dal mondo esterno da mura alte circa 5 metri e lunghe 10 chilometri (sormontate da vetri impastati con il cemento) e da due file di reti. Fuori c'è l'Italia, con i suoi problemi e le sue contraddizioni di paese diviso. Dentro ci sono loro, 570 tunisini, immigrati, clandestini, o come li si voglia chiamare: esseri umani scappati da un paese in difficoltà, che hanno affrontato ore e giorni di viaggio su barconi della speranza nell'illusione di trovare un futuro migliore dall'altra parte del mare e che si trovano oggi in un campo di non so cosa a Santa Maria Capua Vetere. Prima c'era stata Lampedusa, poi la nave che li avrebbe portati in un posto diverso. Nessuno aveva specificato "milgiore".
"No alle baraccopoli" rassicurano i leghisti. Ma sono promesse e rassicurazioni fatte agli elettori del nord, che di baraccopoli e immigrati hanno sentito le chiacchiere e le disquisizioni. E mentre nei luoghi alti del potere e della penisola si continua a fare promesse al vento e minacce all'Europa, gli equilibri instabili di una situazione precaria rischiano di spezzarsi.
Mentre il Risorgimento dell'Africa potrebbe essere una immensa occasione per il sud dell'Europa, e soprattutto per il sud dell'Italia.
Basta fare un salto indietro nella storia neanche troppo antica delle Due Sicilie per ricordare che il sud possedeva la seconda flotta mercantile più importante d'Europa e la terza per rilevanza militare. Commerciava materie prime e prodotti industriali con tutti i paesi che affacciavano sul Mediterraneo. Rappresentava un "porto di mare" ricco per scambi culturali sociali, turistici.
Bari sull'Adriatico, Taranto nello Ionio, Messina verso lo stretto e Palermo e Napoli strategicamente riparate nell'insentura del Tirreno ma aperte al Mediterraneo, possono tornare ad essere posizioni strategiche, centri nevralgici dei nuovi flussi commerciali di una rinascita economica, sociale, politica e culturale da creare con i fratelli dell'Africa che combattono per un futuro diverso, migliore.

martedì 22 marzo 2011

Chiaiano: due anni dopo

Me lo ricordo ancora quell'infuocato pomeriggio di fine estate. Lavoravo all'Ansa e mi avevano incaricata di seguire la manifestazione degli abitanti di Chiaiano, Marano e Mugnano contro la nuova discarica. Nel primo pomeriggio erano tutti lì: migliaia di uomini, donne e bambini arrabbiati con mondo e con l'indifferenza che li condannava a pagare il prezzo di anni di malagestione dell'affare monnezza accogliendo una nuova discarica nel cuore della città.
In via Cava del Cane li aspettava l'esercito: era un sito di rilevanza strategica nazionale, e di lì non si poteva passare. Tecnici e personale specializzato stava svolgendo i carotaggi per verificare la buona gestione della precedete discarica e procedere all'allestimento della nuova nello stesso luogo, monnezza su monnezza, e i tecnici voluti dalla gente erano stati lasciati fuori. I giornalisti non avevano potuto verificare che fossero rispettate le precauzioni e le norme vigenti: per l'interesse superiore dello stato qualcuno doveva pur pagare....
Sono passati meno di due anni, e gli abitanti di Chiaiano oggi si sentono dire che forse avevano ragione a temere il peggio: quando 'esercito è andato via e si sono spenti i riflettori, sulla discarica vecchia/nuova si è allungata la longa manu della Camorra, o del Malgoverno, che tanto è la stessa cosa. Quella mano ha imbrogliato, truffato, utilizzato materiali nocivi spacciandoli per altro, finto di bionificare e rispettare le regole facendo esattamente il contrario. "Tanto loro si bevono l'acqua minerale" se le falde vengono inquinate. Tanto loro abitano a chilometri di distanza dai posti dove l'incidenza di malattie e tumori alle vie respiratorie è molto più alta rispetto alla emdia nazionale.
La Procura ha aperto un'inchiesta sulla mala gestione della discarica di Chiaiano, e in via Cupa del Cane adesso tirano un sospiro di sollievo alla notizia che forse il sito verrò sequestrato.
Non respirano troppo profondamete, però. Perchè loro l'avevano detto da molto tempo, ma chi li ha finalmente ascoltati potrebbe cambiare idea.

mercoledì 16 marzo 2011

Nucleare? no a casa mia


Una decisione che ha fatto scuola e polemica: lo scorso giugno la Campania, con una legge regionale, ha detto no alla collocazione di centrali nucleari costose e pericolose su suolo regionale a forte rischio sismico. A quel tempo il Governo disse ai suoi seguaci: "secondo la Costituzione voi regioni avete il diritto/dovere di decidere, ma in questo caso specifico decidiamo noi, giacchè si tratta di itnerventi di più alto itneresse strategico nazionale".
Poi vennero i giorni grigi della fobia di una nuova Cernobil, la minaccia dell'apocalisse atomica, il ciglio aggrottato dei giapponesi che continuano a lavorare per porre riparo alla catastrofe della natura. E i Governadores filo governativi cambiarono idea: il nulceare è cosa buona e giusta, dissero, ma non nel mio orticello, la cui conformazione morfologica non è consona.
Prima venne Zaia, verde padano della val Padania, ex ministro dell'Agricoltura, giacchè "la morfologia della regione non presenta le caratteristiche necessare" per un impianto di tal impatto. Vuoi mettere che una nuova alluvione se lo porta via?
Poi arrivò Formigoni: "La nostra regione è autosufficiente dal punto di vista energetico, e di questo bisognerà tener conto quando si studierà il luogo dove collocare una centrale".
Nel profondo verde a pie' del monte, in Piemonte appunto, Cota fa eco ai compari: “Dire no in questo momento al nucleare sarebbe da ipocriti, anche perché ci sono molte centrali francesi vicine al nostro territorio, ma il Piemonte non offre caratteristiche adatte a ospitare nuovi impianti”.
In Puglia, Calabria, Liguria ci si era defilati già da un pò. Sempre al stessa storia. L'energia elettrica non è poi così poca come si vuol far credere. E il territorio non è così accogliente e adatto a una centrale invasiva, invadente, pericolosa, costosa e tutto sommato inutile.
Caldoro, dalla Campania, fa spallucce: “In Italia vi è un gap energetico da colmare e, per questo motivo, non bisogna effettuare scelte ideologiche”.
Bisognerebbe spiegargli che, proprio mentre esprimeva questo concetto profondamente progressista e meditato sul futuro energetico e ambientale di una delle regioni a più alto rischio sismico, geologico, vulcanico e quant'altro della penisola, in quel di Benevento è stata registrata una scossa sismica di magnitudo 2.6. Un amminimento della terra che ha ricordato: Io sono qua!"

giovedì 3 marzo 2011

S.O.S. FONTI RINNOVABILI INVIA LA PETIZIONE!


RICEVIAMO UNA RICHIESTA DI PETIZIONE DALL' ASSOCIAZIONE SOSRINNOVABILI CHE VI INVITIAMO A SOTTOSCRIVERE E DIFFONDERE

Carissimi amici,

Il Governo intende presentare in pre-consiglio martedi una bozza che di fatto bloccherà il fotovoltaico con effetto quasi immediato se non retroattivo. Tetto di 8.000 MW e stop agli incentivi un MW dopo. Chi finanzierà gli impianti in queste condizioni di incertezza e dopo tutta la disinformazione che è stata fatta in questi giorni?

Stiamo agendo su vari fronti per cercare di parare il colpo:

1) oltre 55 parlamentari hanno firmato la lettera da noi predisposta per il capo dello stato e il presidente del consiglio dei ministri

2) lunedi terremo una conferenza stampa congiunta di fronte al ministero dello Sviluppo con Legambiente, WWF, GreenPeace, Aper, Anev, AssoSolare, Grid Parity Project e Kyoto Club

3) stiamo cercando di organizzare una manifestazione di fronte a Palazzo Chigi per il giorno previsto di approvazione del Dlgs (mercoledi).

Tutto questo potrebbe non bastare purtroppo. E' il momento di fare sentire quanti interessi sono toccati da un provvedimento cosi sbagliato. Abbiamo predisposto il testo di una lettera (lo trovate nel seguito). Ciascuno di noi lo dovrebbe inviare e impegnarsi a farlo inviare a quante più persone possa.

L'e-mail dovrebbe essere indirizzata ai seguenti indirizzi e-mail:


segreteria.presidente@governo.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Segreteria.ministro@sviluppoeconomico.gov.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Saglia.segreteria@sviluppoeconomico.gov.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Segreteria.capogabinetto@sviluppoeconomico.gov.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Ufficio.legislativo@sviluppoeconomico.gov.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

segreteria.ministro@minambiente.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

atelli.massimiliano@minambiente.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Lucarelli.paola@minambiente.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Degiorgi.marco@miniambiente.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

segreteriaMinistroSacconi@lavoro.gov.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.


INVIATECELA POI PER CONOSCENZA A:

info@sosrinnovabili.itQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.


"On. Presidente del Consiglio dei Ministri On. Ministro dello Sviluppo Economico On. Ministro dell'ambiente, della tutela della natura e del mare On. Ministro del Lavoro, Salute e Politiche Sociali

In questi giorni, si decide la morte per decreto delle energie rinnovabili in Italia. Quindicimila famiglie rischiano di perdere in pochi mesi il posto di lavoro, un indotto che occupa altre 100.000 persone sarà colpito. E' un prezzo altissimo, in termini sociali ed economici, che verrà pagato da uno dei pochissimi settori produttivi non colpiti dalla crisi e da un numero importante di lavoratori e famiglie. E' quello che succederà se il Consiglio dei Ministri approverà il decreto sulle rinnovabili nella versione che circola in questi giorni all'interno del Parlamento e su cui si leggono anticipazioni di stampa.

Dopo pochi mesi dalla (lungamente attesa) approvazione, nel mese di agosto dello scorso anno, della legge sul nuovo conto energia, lo scorso 31 gennaio la Commissione europea ha adottato, come noto, una raccomandazione in cui invita gli Stati membri ad incoraggiare le politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, scoraggiando esplicitamente strumenti normativi retroattivi, causa di incertezza sul mercato e di congelamento degli investimenti.

A dispetto di queste premesse nelle bozze del decreto legislativo rinnovabili leggiamo la previsione di introdurre retroattivamente un limite vincolante di 8.000 MW. Stop ai progetti autorizzati e in corso di autorizzazione. Stop a molti cantieri in corso. Un vero e proprio tetto al fotovoltaico, più di 6 volte inferiore a quello fissato dalla Germania. È questa la prospettiva che annienterebbe il settore fotovoltaico a partire dalla prossima settimana con l'eventuale approvazione in Consiglio dei Ministri. A farne immediatamente le spese saranno circa 150.000 lavoratori impiegati direttamente e indirettamente nel fotovoltaico.

In queste condizioni un'industria nascente è condannata a morte prima ancora di essere diventata pienamente adulta. Se nell’arco di pochi giorni non si riuscirà a introdurre dei correttivi, il fotovoltaico rischia una Caporetto, con ripercussioni molto pesanti sia in termini occupazionali che di credibilità del sistema Paese. Mentre gli Stati Uniti di Obama, pur in presenza di un taglio delle spese pubbliche molto robusto, mantengono saldo il timone verso lo sviluppo delle rinnovabili, l’Italia rischia un nuovo tracollo dopo quello degli anni Ottanta.

Siamo sbigottiti, è incomprensibile. Non è abbastanza promuovere l'ambiente e la salute di noi tutti, generare ricchezza e dare lavoro a oltre 15.000 addetti diretti e fino a 100.000 indiretti, offrire l'opportunità a oltre 160.000 famiglie di diventare indipendenti energeticamente? Quali interessi si vogliono davvero tutelare? Chi sono i poteri forti che stanno eliminando ad una ad una tutte le rinnovabili? Prima l'eolico, oggi il fotovoltaico. Che destino attende un paese che distrugge sistematicamente le proprie opportunità di sviluppo?

Nonostante il parere positivo in sede di Commissioni Parlamentari (per cui lo schema di decreto attuativo della direttiva 2009/28 sull’energia da fonti rinnovabili si inserisce nel quadro della politica energetica europea volta a ridurre la dipendenza dalle fonti combustibili fossili e le emissioni di CO2) il dibattito in corso, specie per le notizie di stampa spesso espressione di interessi non necessariamente palesi e esplicati in sede politica e sociale, sembra preludere ad un intervento legislativo che andrà, si teme, in senso diametralmente opposto a quello, voluto dalla Commissione, di incoraggiamento delle politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili.

La realtà è diversa. A fronte di una crisi che non smette di mordere il tessuto produttivo, è vero che il settore delle rinnovabili si muove in netta controtendenza. Gli incentivi (che, ricordiamo, non gravano sul bilancio dello Stato ma nemmeno su quello delle famiglie, come invece si è letto in questi giorni) hanno creato un volano virtuoso che ha consentito al Paese di riavvicinarsi al gruppo dei paesi leader nel campo dell’innovazione e della capacità produttiva.

Il fotovoltaico, in un contesto così difficile come quello che abbiamo visto delinearsi negli ultimi anni, rappresenta un settore in crescita occupazionale e di fatturato, oltre che un settore tecnologicamente in evoluzione.

Confidiamo nell’equilibrio e nella saggezza del Governo e del Parlamento affinché si voglia intervenire per evitare che un altro tassello della nostra economia cada vittima di contrapposti interessi e di battaglie ideologiche. Confidiamo che saprete dare un futuro alle nostre famiglie e ai nostri figli

lunedì 28 febbraio 2011

Milan - Napoli... quando il calcio diventa altro


Approfittare di un momento sportivo che unisce per contribuire a fomentare le divisioni è l'ennesimo tuffo verso il basso che sta compiendo l'Italia alla vigilia della sfida per lo scudetto che, dopo l'era Maradona, vede di nuovo in lizza Napoli e Milan.
Tanta acqua è passata sotto i ponti dall'anno di grazia 1987, ed ahimè troppe cose sono cambiate da quando Napoli era Napoli, grande nel calcio come nella storia, a cominciare dalla totale assenza di fair play che si respira tangibilmente nell'aria della vigilia.
Per sottolineare l'importanza del big match, l'incontro si svolgerà di lunedì sera (questa sera), in modo che nord e sud siano allo stesso modo attaccati ai minuti che scorrono di una partita che non sarà uguale a nessun'altra di questo campionato. Un incontro al vertice non poteva essere confuso con tutti gli altri incontri.
Per spianare la strada agli avversari, la squadra azzurra è stata privata della sua stella più splendente: 3 giornate di squalifica per Lavezzi, grazie alla prova Tv caldeggiata dalle reti Mediaset (di cui è presidente Berlusconi), alla vigilia del big match con il Milan (di cui è presidente Berlusconi) preannunciato da una conferenza stampa di un tale presidente del Consiglio (ancora Berlusconi) che nella partita di stasera vede l'eterno scontro tra nord e sud in chiave razzista e secessionista. Ovviamente preannunciando che, come al solito, a vincere sarà il nord, e Milano, e lui.
E sia, dal presidente di una squadra di calcio un commento di tal genere ci può stare.
Da un imprenditore, cittadino italiano anche se proprietario di mezza Italia, la preferenza per un team sportivo piuttosto che per un altro è comprensibile: ognuno è libero di parteggiare per la squadra a cui, per una ragione o per l'altra è più affezionato.
Ma è il colmo delle contraddizioni e delle assurdità italiane che il presidente del Consiglio Italiano approfitti di una conferenza stampa istituzionale per esprimere commenti sportivi alla vigilia di una partita importante che vede coinvolta la squadra di cui è presidente contro una qualsiasi altra squadra, e faccia di quel match sportivo l'emblema della battaglia economica, politica, istituzionale e mediatica che in questi anni divide e mette in contrapposizione Napoli e Milano, il nord e il sud dell'Italia.
L'uomo che ha parlato oggi non è il mio presidente del consiglio. Non mi rapprsenta come italiana del mondo nè i Italia, perchè non ha la lucidità mentale di distaccare il pubblico e il privato, la passione dalla politica, gli interessi dal bene comune, il calcio da tutte le altre cavolate di cui è costellata la sua esistenza di vecchio 74enne che non vuole ammettere di aver raggiunto il capolinea dell'esistenza.

martedì 15 febbraio 2011

Non chiamatela mozzarella


La mozzarella blu non è made in Germania e non è stato un caso isolato. Acqua contaminata da batteri, residui di piombo e schifezze varie sono le ragioni della colorazione anomala e molti altri danni della italianissima e nordica mozzarella imbustata. In 7 confezioni di mozzarella per ogni 10 controllate sono stati rinvenuti batteri di pseudomonas fluorescens e bacillus cereus, che provocano la mozzarella blu ma non sono nocivi per la salute, ma anche enterobatteri, escherichia coli, stafiloccocus aureus, e salmonella, che possono invece creare disturbi seri e intossicazioni. Si tratta dei risultati emersi dalle prime indagini svolte dal pm Guariniello della Procura di Torino su un centinaio di caseifici piemontesi. Ma questa è solo la punta di un iceberg che abbatte la vanagloria di ristoranti che, nel periodo dell'allarme diossina, affermavano con presunzione “qui solo mozzarella piemontese” come presunta e oggi confutata garanzia di qualità.

Perché quando c'è stato il falso allarme diossina, poi confutato da indagini a tappeto, la Campania ha risposto all'appello con trasparenza, correttezza, pulizia e garanzia di qualità della mozzarella di bufala DOP.

Della mozzarella blu oggi i giornali parlano sottovoce, solo sull'edizione locale, come se fosse un segreto di stato che è meglio non rivelare a orecchie indiscrete. Ne potrebbe venir danneggiata l'immagine della prima capitale d'Italia che con trepidazione continua il conto alla rovescia per i festeggiamenti dell'anniversario nazionale... I fatti, però, restano. E le conseguenze procedono su molti binari:

  1. Il rapporto è stato subito inviato per conoscenza al Ministero della Salute, e intanto in procura continuano ad arrivare sempre nuovi casi di mozzarelle blu.

  2. In questi giorni sono dunque partite le prime verifiche tra i 722 stabilimenti piemontesi che producono formaggi (esclusi i piccoli caseifici di alpeggio). Il problema più comune, secondo i pm, deriva dal fatto che le aziende, per risparmiare, utilizzano non l’acqua potabile, ma quella dei pozzi, che può essere però facilmente inquinata da batteri, oppure da diserbanti e pesticidi che filtrano nel terreno.

  3. la competenza delle verifiche spetta alle Asl, ma sinora non sono mai state effettuate. Il ministero ha inviato una lettera di sollecito agli assessorati regionali ma intanto la procura ha deciso di ovviare alla mancanza cominciando le ispezioni tramite la polizia giudiziaria e i carabinieri dei Nas.

lunedì 7 febbraio 2011

La battaglia dei Maori

Esposti nelle teche di un museo, additati dagli scolaretti e fotografati dai curiosi, non trovano pace i resti umani che invece dovrebbero essere onorati e ricevere degna sepoltura in patria. Almeno fino ad oggi. Almeno fino a quando la battaglia dei Maori, popolazione della Nuova Zelanda, non avrà ricevuto il riconoscimento internazionale all'umana pietà per i Toi Moko, le teste essiccate e decorate dei guerrieri caduti in battaglia che oggi fanno bella mostra nei musei e nelle collezioni private di mezzo mondo.

La vittoria di una battaglia lunga quarant'anni peserà come un macigno sui direttori di quei luoghi di cultura che, in nome di una non ben comprensibile cultura, negano alle spoglie umane di ritrovare pace e conforto tornando alla terra.

Secondo la legge internazionale, crani e ossa umane perdono il diritto all'umanità quando rappresentano oggetto di studio archeologico o scientifico, è stato, in ultima analisi, il messaggio proveniente dalle sfere alte del museo torinese di Criminologia. Il suo cosiddetto museo, intitolato a Cesare Lombroso, è un luogo dove centinaia di crani di criminali, briganti, pazzi e prostitute sono esposti l'uno accanto all'altro senza nessun fine didattico eccetto l'elogio della follia di un malato che, giovane, ha teorizzato la predisposizione genetica al crimine dei meridionali per giustificare il genocidio sabaudo; negli ultimi anni di vita si è intrattenuto in sedute spiritiche per entrare in più diretto contatto con il mondo dei morti.

Per quel luogo, dove sono esposti i resti dei briganti meridionali, lo stato italiano ha messo a disposizione 10 milioni di euro destinati ai festeggiamenti di un'unità nazionale conquistata uccidendo quegli uomini e quelle donne;

in quel luogo ogni anno le scolaresche imparano che è buono e giusto discriminare un uomo in base alla conformazione del volto e alla provenienza geografica;

da quel luogo parte il messaggio che è eticamente corretto negare il riposo della tomba ai rei che pagheranno anche post motem la colpa di essere nati nel posto sbagliato.

Quando il museo degli orrori è stato inaugurato, nel novembre 2009, da tutte le parti si sono alzate inascoltate le voci di sdegno di comitati e associazioni meridionaliste. A maggio 2010 una manifestazione autorizzata, a Torino, si è vista negare le vie del centro cittadino e chiudere in faccia le porte de museo. Tutti hanno girato la testa dall'altra parte.

Oggi la battaglia dei Maori promette di dare nuovo slancio alle rivendicazioni di chi chiede degna sepoltura per degli esseri umani: padre Loffredo del rione Sanità a Napoli, disposto ad accogliere le ossa al cimitero delle Fontanelle; Amedeo Colacino, lontano erede di quel Giuseppe Villella involontaria scintilla che accese la mente di Lombroso; i milioni di meridionali che chiedono solo di onorare quel manipolo di eroi che ha combattuto per l'indipendenza di un regno contro l'invasore.


I finti fannulloni di Pomigliano





Li avevano spacciati, gli operai di Pomigliano, come i fannulloni per antonomasia, colpevoli di assentarsi di assenteismo ingiustificato nel giorno della partita come per ogni altra pretestuosa occasione; lo avevano giustificato, i politici, come un provvedimento contrattuale unico nel suo genere, che non si sarebbe ripetuto, ma serviva per dare l'esempio sul modo di comportarsi e lavorare; avevano taciuto, quelli della Fiat, sulla realtà dei fatti: un articolo del contratto pensato per Pomigliano e firmato coscientemente dal Governo, recita che il caso Pomigliano, la firma di quel contratto, avrebbe fatto da apripista ad altri contratti uguali.

Per la Fiat che sceglie il sindacato per rappresentare i suoi dipendenti, rifiuta il contratto nazionale dei lavoratori, nega i diritti conquistati in lunghi anni di scioperi e di proteste; per le altre piccole e medie aziende che si sentiranno autorizzate a seguire l'esempio di una multinazionale che di italiano ha soltanto i soldi con cui un Governo connivente e indifferente continua a finanziare.

Oggi l'Italia si sveglia a e accorge che, ops, i fannulloni di Pomigliano si sono rivelati essere lo stabilimento Fiat con il più basso tasso di assenteismo e quindi quel contratto pensato per punire i fannulloni andava esteso a chi fa più assenze più o meno giustificate. Quindi a Mirafiori, Torino. E poi, già che ci siamo, a Melfi, Cassino, Termoli.... E perché no, a tutta la categoria dei metalmeccanici, dei dipendenti, degli italiani e degli esseri umani.

Quando è stato il giorno di Pomigliano, nessuno ha voluto ascoltare il campanello d'allarme. Secondo i “lavoratori” benpensanti i terroni, i fannulloni, gli scansafatiche che rubano lo stipendio meritavano quella punizione. Avevano dimenticato di essere lavoratori, italiani, esseri umani. Oggi che la frittata è fatta si riscoprono Fratelli d'Italia, come ogni volta che c'è da chiedere aiuto.

L'università senza storia e senza terroni


Gli Atenei del sud esclusi dall'agenzia che valuterà le performance universitarie e deciderà i fondi da stanziare ad ogni università. Basta anche studiare storia, italianistica, estetica e archeologia. Nell'Italia “verde”de futuro, del progresso, del lavoro non serve saper parare correttamente la propria lingua e conoscere la storia.

La notizia (difficile anche solo da trovare sul web) è una diretta e logica conseguenza della riforma voluta da Mary super star, che ha suddiviso gli atenei tra quelli di serie A e quelli di serie B, suddivisi per classi di merito mai ben specificate. Anche oggi che i giornali continuano a parlare di tutto, tranne di ciò che realmente interessa alla gente: la classe operaia del nord che dice no ai diritti calpestati ma che aveva taciuto fino ad oggi che la Fiat aveva calpestato solo i diritti degli operai del sud; gli studenti e i docenti del sud che dicono no ad una riforma che cancella la forma mentis dell'intellettuale e del meridionale dicendo che non ha più senso di esistere.

Fin troppo chiaro il disegno criminoso di chi, seduto al tavolo delle decisioni (il consiglio dei ministri) ha selezionato i membri che faranno parte del consiglio direttivo dell'Anvur (l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca).

Il Governo, e ci risiamo, è caduto nella cattiva abitudine di dividere la cultura in discipline buone e discipline cattive, alias inutili. Come di discriminare le università a seconda della location. E, sisa, dopo Roma non c'è mai stato niente di buono...

Alias: i 7 prescelti dalla Gelmini sono: Fiorella Kostoris e Andrea Bonaccorsi, economisti; la sociologa Luisa Ribolzi; il Genetista Giuseppe Novelli; il veterinario Massimo Castagnaro; il fisico Stefano Fantoni e l'ingegnere Sergio Benedetto.

Un'ultima chicca, come spunto per una riflessione personale: la riforma dell'università è stata approvata soltanto a fine dicembre 2010. Il MIUR, però, ha chiuso il bando per la presentazione delle candidature all'Anvur già lo scorso 30 settembre.

“Ho detto tutto”, spiegava il principe.