sabato 15 agosto 2009

Il delirio di ferragosto diventa programma politico

Federalismo fiscale, gabbie salariali, partito del Sud e dialetto obbligatorio. Ecco riassunto, in poche parole, il programma 2009 - 2010 della Lega.
Dal meridione si controbatte soltanto con l'idea di un "Partito del Sud".
Avvilente.
Demoralizzante.
La solita storia che ascoltiamo da 150 anni a questa parte.

Lo studio del dialetto a scuola è un bene e un male assieme. Ma a sceglierlo devono essere i ragazzi, come un'aggiunta a scelta al programma scolastico tradizionale, come per l'ora di religione. E non certo "attraverso le canzoni popolari, per renderlo più piacevole", come farnetica Bossi. Prima di apportare questa modifica leghista all'istruzione italiana, sarebbe meglio aggiungere qualche ora di inglese in più e magari un'altra lingua a scelta tra francese tedesco o spagnolo, visto che noi italiani siamo i meno pratici nelle lingue straniere.

Il partito del Sud ha il sapore di una scissione decisa dall'alto, a cui la gente non ha molta voglia di partecipare. Il nuovo gruppo politico che vuole partire dalla Sicilia per conquistare il mezzogiorno è stato deciso a tavolino da un gruppo di dirigenti per riportare al Sud i finanziamenti europei che copriranno il deficit di comuni e regioni, senza attuare i piani di sviluppo che invece interessano il sud Italia. Quasi quasi riportiamo in vita anche la vecchia Cassa del Mezzogiorno. Poi, se mai il nuovo partito dovesse davvero coinvolgere il popolo, cosa ne sarebbe della nostra penisola già divisa di per sè. Facciamo una bella guerra di secessione all'Italiana, in stile pizza e mandolino vs polenta e cussot?

Gabbie salariali. In uno stato dove le retribuzioni sono ai minimi rispetto agli altri paesi della comunità europea ma la percentuale di tasse trattenuta dallo stato è la più alta, la Lega farnetica di livellare i salari in base al costo della vita. Senza comprendere che il costo della vita in realtà di adatta a quello che è il tenore di vita medio. Lo sappiamo tutti che un piatto di pasta con le vongole costa meno a Napoli che a Milano, e non solo perché il mare è più vicino. Nè, come spifferano in molti, perchè c'è l'evasione fiscale. C'è la criminalità, il lavoro nero, la disoccupazione diffusa e le famiglie monoreddito. Molto spesso, semplicemente, perchè ci si accontenta di guadagnare di meno ma lavorare con maggiore serenità e star bene tutti.
Sono stata alla trattoria da Nennella, qualche tempo fa: si trova nel cuore dei quartieri spagnoli, a quattro passi da via Toledo. Bisogna fare la fila per trovare un posto a sedere, ma si mangia tanto, bene e ci si diverte pure con pochi soldi. Primo, secondo, contorno, frutta, acqua e vino per due a soli 15 euro. Con tanto di ricevuta.

Il federalismo fiscale ha bisogno di un post a parte... In tanto buon ferragosto!!!

martedì 11 agosto 2009

Gabbie salariali in stile padano

E si torna a parlare di gabbie salariali. C'è chi nega il termine così "duro" ("No alle gabbie salariali se queste sono intese come una discriminazione, sì ad una contrattazione che tenga contro della produttività", Daniele Capezzone) e chi lo difende a spada tratta ("Le gabbie salariali vanno fatte: se si vuole il federalismo lo si deve volere fino in fondo", Luca Zaia). Ma poi la musica è sempre al stessa.
Chi sta preparando il federalismo fiscale in realtà vuole liberarsi del sud che ritiene sprecone, corrotto, improduttivo e, a conti fatti, un peso morto che taglia le ali alla Padania unica, produttiva, efficiente e meravigliosa.
Il Sole24ore
(leggi) ricorda i tempi in cui le gabbie salariali hanno condizionato l'economia della penisola, visto che i nostri politici la storia la dimenticano troppo spesso o forse non l'hanno mai studiata troppo impegnati a imparare il dialetto lumbard. Repubblica, ogni tanto, si prova a fare chiarezza sulle vere differenze tra nord e sud (leggi). E sottolinea che poi, questo 16% di divario, non è poi così netto.
1. Innanzitutto perché il lavoro non è capillarmente diffuso, e a Napoli come a Palermo a portare l pane a casa è soltanto il capo famiglia. Quando sono in 4 a dover vivere con 1.100/1.500 euro è giusto che il pane sotto casa costi 1,20 euro al chilo, piuttosto che 2,50 euro. Mangiare costa meno perché la gente si "arrangia" a cucinare piuttosto che andare in giro per ristoranti o nutrirsi a base di precotti. E se una pizza costa 3 euro a Napoli e 8 euro a Milano è perché il pizzaiolo lombardo è uno speculatore, non perché la margherita è più buona sotto la Madunnina.
2. Abbigliamento, biancheria per la casa, accessori e oggettistica hanno prezzi "nazionali" dei negozi in franchising. La maglietta di marca costa 50 euro a Milano come a Bari. La differenza sta nella quantità di magliette firmate: forse il barese ne compra qualcuna in meno.
3. Arredamento per la casa e accessori tecnologici sono più economici al nord Italia, e questo non può negarlo nessuno. Con l'eccezione delle super offerte nazionali, a causa le spese aggiuntive per il trasporto su ogni mille euro di "tecnologia" lo scarto è di almeno 50/100 euro.
4. Affitti e Compravendite di immobili oscillano a seconda della richiesta e della densità demografica del luogo. Un monolocale a Napoli costa quanto un monolocale nelle altre città del nord Italia, e le agenzie immobiliari praticano la stessa attività di sciacallaggio venduta come attività di mediazione.
Allora dov'è la differenza?

lunedì 3 agosto 2009

Esame di dialetto per aspiranti prof

Un professore, per insegnare in una regione diversa da quella dove è nato ed ha conseguito la laurea, dovrà sostenere un apposito esame per verificare la sua conoscenza, di storia, cultura e tradizione locale, nonché avere una specifica padronanza del dialetto. Roba dell'altro mondo ( leggi ).
Dopo 150 anni dall'unificazione forzata della penisola, dopo un processo di italianizzazione che si dimostra ancora una ferita aperta, e soprattutto dopo l'ingresso nell'Unione europea c'è ancora qualcuno che farnetica stravaganze dal sapore razzista.
"Si tratta del mondo per uniformare nella vita reale i voti generosi che danno alcune università italiane con i voti più concreti rilasciati da altre", ha detto quel qualcuno, che fa fatica a parlare un italiano corretto e vorrebbe che facessero altrettanto i professori di suo figlio. Purché parlino bene il dialetto padano. Come se una laurea con 110 e lode all'università Federico II di Napoli, la prima università statale d'Europa (fondata appunto da Federico II nel 1224), valesse meno di un 99 in qualsiasi parte del nord Italia, perché lì non li regalano i voti. La borsa di studio con la media del 24 invece si. Ma questa è storia dell'università italiana che funziona male e sarà riformata anche peggio.
Un esame in dialetto per insegnare italiano e matematica è una discriminazione che neanche dovrebbe essere pronunciata in un paese civile. Ammesso che l'Italia di oggi possa considerarsi tale.
Tant'è, "fuma c'anduma nè". Comincio ad allenarmi. Molto presto chiederanno anche ai giornalisti l'esame del dialetto, così ognuno potrà leggere le notizie nel dialetto che preferisce. I napoletani lo hanno fatto già nel 1799, quando Eleonora Pimentel Fonseca ha deciso di utilizzare la lingua del popolo per il suo Monitore Napolitano.
Quelli, però, erano altri tempi. E quella, soprattutto, era una lingua. Il Napoletano, appunto: lingua ufficiale del Regno di Napoli.
Chiedere a un aspirante professore di imparare, parlare e sostenere un esame sul modo di esprimersi delle popolazioni del posto significa degradare l'insegnamento al livello dell'oralità precedente all'istituzione della scuola dell'obbligo (perché sono pochi i dialetti che vantano una letteratura) e non sarebbe un vantaggio per la scuola italiana.
Speriamo che quel qualcuno si ricreda.

domenica 2 agosto 2009

La cassa e il Mezzogiorno

Quando furono depositati i primi 100 miliardi di lire sul conto della Cassa del Mezzogiorno, i meridionali credettero si trattasse di una Befana. Lo dice in un suo articolo datatto 1963 l'inviato del Corriere della Sera, Indro Montanelli, che alla vigilia dei primi 15 anni del CasMez preparava a suo modo una maxi inchiesta sull'istituzione pro Sud Italia.
"Da 100 anni sono abituati a non ricevere altro che Befane: un ponte qui, una strada là, un pò di appalti, qualche ufficio dalle atribuzioni vaghe che fornisse soltanto un pretesto alla distribuzione di qualche impieguccio...". La Cassa del Mezzogiorno puntava ad agganciare il meridione allo sviluppo industriale del nord. Il risultato sono state le cattedrali industriali senza forza lavoro, le cattedrali nel deserto che costellano vaste aree incolte e disabitate della Puglia, della Calabria e della Campania felix. Ciò che non hanno capito ancora molti politici italiani, o forse fanno finta di non capire, è che l'Italia è divisa anche per vocazione economica. Le fabbriche sotto al Vesuvio o nel Tavoliere delle Puglie non hanno ragione di esistere, perchè il futuro non va in quella direzione. Di queste mie idee per uno sviluppo sostenibile parlerò altrove, magari in una lettera a Napolitano.
A quasi sessant'anni dalla sua istituzione, dopo 17 dalla sua soppressione ai tempi di Tangentopoli, il nostro Governo ripensa alla Cassa. Le recenti proteste di Lombardo, il Governatore della Sicilia, gli hanno fatto notare che con la legge delega sul Federalismo Fiscale ha fatto il passo un pò più lungo della gambetta, e agli alleati bisognava pur dare qualcosa in cambio del tanto a cui si chiedeva di rinunciare.
Una nuova cassa, allora. E siccome il vecchio forziere è rotto (le casse dello stato piangono e preparano una manovra fiscale in extremis per dimostrare che da noi la crisi finanziaria non c'è mai stata, perchè i conti in rosso li avevamo anche prima), inventriamoci qualcosadi nuovo.
Anzi, di più vecchio della CasMez: un Piano Marshall formato mezzogiorno.
Nessuno sa ancora di cosa si tratti (leggi Corriere della Sera ), ma tutti sanno che ci sarà. Con 27 miliardi di euro da gestire fino al 2013. La torta non sarà molto più grande di quella che c’è oggi sul piatto, ma le bocche da sfamare saranno molte di più. Con l'aggiunta di un nuovo ente da gestire e finanziare.
E Lombardo ha cominciato già a riscuotere i primi soldini. Quattro miliardi di euro per la Sicilia. Quando poi il problema diventa, come ammette lo stesso Tremonti, "cosa succederà il primo gennaio del 2014".
Duemila e quattordici... Manca così tanto tempo! Dopo tutto, domani è un altro giorno

sabato 1 agosto 2009

Il morto di Mappatella beach

Ritorno nelle pagine del blog, perché su come sono realizzate certe pagine di cronaca che parlano di Napoli non si può rimanere indifferenti. Ho scritto una lettera al Corriere della Sera, ma siccome parlo da napoletana non la pubblicheranno mai. Così la riporto sul blog.
Ho letto con disappunto e imbarazzo l'articolo di ieri sull'episodio occorso a Mappatella beach, sul lungomare di Napoli ( leggi ). Ma a indignare la giornalista che sono non è la denuncia dell'indifferenza che trabocca dal servizio di Paolo di Stefano , scritto con la tracotanza di un editoriale di denuncia. (Cosa avrebbero dovuto fare i bagnanti, bloccare la riviera di Chiaia?).
Mi indigna e stupisce la mancanza della notizia, il divagare in ampollose citazioni e descrizioni da romanzo d'appendice. Basta così poco per scrivere un articolo sul Corriere della Sera? Nella "versione locale" ( leggi ) ,la tirata moralista si esaurisce nelle ultime righe; sul nazionale il sermone diventa il file rouge del servizio, come ammette lo stesso autore.
Che poi, a ben guardare le foto, tutta questa indifferenza non la vedo. Attorno al cadavere sono parecchie le persone. se siamo in 10 su una spiaggia non andiamo tutti a salvare un annegato: qualcuno chiamerà pure i soccorsi!
E da giornalista professionista disoccupata, laureata, masterizzata, ultra qualificata e napoletana mi indigno, per l'alone di negatività sottinteso in ogni riga dell'articolo, per la stoccata di moralismo ipocrita sottintesa in ogni riga che si infarcisce di citazioni per nascondere l'assenza dei fatti. Con questa mia non cerco un posto di lavoro, chiedo solo maggiore coerenza editoriale al quotidiano più letto in Italia.