lunedì 28 febbraio 2011

Milan - Napoli... quando il calcio diventa altro


Approfittare di un momento sportivo che unisce per contribuire a fomentare le divisioni è l'ennesimo tuffo verso il basso che sta compiendo l'Italia alla vigilia della sfida per lo scudetto che, dopo l'era Maradona, vede di nuovo in lizza Napoli e Milan.
Tanta acqua è passata sotto i ponti dall'anno di grazia 1987, ed ahimè troppe cose sono cambiate da quando Napoli era Napoli, grande nel calcio come nella storia, a cominciare dalla totale assenza di fair play che si respira tangibilmente nell'aria della vigilia.
Per sottolineare l'importanza del big match, l'incontro si svolgerà di lunedì sera (questa sera), in modo che nord e sud siano allo stesso modo attaccati ai minuti che scorrono di una partita che non sarà uguale a nessun'altra di questo campionato. Un incontro al vertice non poteva essere confuso con tutti gli altri incontri.
Per spianare la strada agli avversari, la squadra azzurra è stata privata della sua stella più splendente: 3 giornate di squalifica per Lavezzi, grazie alla prova Tv caldeggiata dalle reti Mediaset (di cui è presidente Berlusconi), alla vigilia del big match con il Milan (di cui è presidente Berlusconi) preannunciato da una conferenza stampa di un tale presidente del Consiglio (ancora Berlusconi) che nella partita di stasera vede l'eterno scontro tra nord e sud in chiave razzista e secessionista. Ovviamente preannunciando che, come al solito, a vincere sarà il nord, e Milano, e lui.
E sia, dal presidente di una squadra di calcio un commento di tal genere ci può stare.
Da un imprenditore, cittadino italiano anche se proprietario di mezza Italia, la preferenza per un team sportivo piuttosto che per un altro è comprensibile: ognuno è libero di parteggiare per la squadra a cui, per una ragione o per l'altra è più affezionato.
Ma è il colmo delle contraddizioni e delle assurdità italiane che il presidente del Consiglio Italiano approfitti di una conferenza stampa istituzionale per esprimere commenti sportivi alla vigilia di una partita importante che vede coinvolta la squadra di cui è presidente contro una qualsiasi altra squadra, e faccia di quel match sportivo l'emblema della battaglia economica, politica, istituzionale e mediatica che in questi anni divide e mette in contrapposizione Napoli e Milano, il nord e il sud dell'Italia.
L'uomo che ha parlato oggi non è il mio presidente del consiglio. Non mi rapprsenta come italiana del mondo nè i Italia, perchè non ha la lucidità mentale di distaccare il pubblico e il privato, la passione dalla politica, gli interessi dal bene comune, il calcio da tutte le altre cavolate di cui è costellata la sua esistenza di vecchio 74enne che non vuole ammettere di aver raggiunto il capolinea dell'esistenza.

martedì 15 febbraio 2011

Non chiamatela mozzarella


La mozzarella blu non è made in Germania e non è stato un caso isolato. Acqua contaminata da batteri, residui di piombo e schifezze varie sono le ragioni della colorazione anomala e molti altri danni della italianissima e nordica mozzarella imbustata. In 7 confezioni di mozzarella per ogni 10 controllate sono stati rinvenuti batteri di pseudomonas fluorescens e bacillus cereus, che provocano la mozzarella blu ma non sono nocivi per la salute, ma anche enterobatteri, escherichia coli, stafiloccocus aureus, e salmonella, che possono invece creare disturbi seri e intossicazioni. Si tratta dei risultati emersi dalle prime indagini svolte dal pm Guariniello della Procura di Torino su un centinaio di caseifici piemontesi. Ma questa è solo la punta di un iceberg che abbatte la vanagloria di ristoranti che, nel periodo dell'allarme diossina, affermavano con presunzione “qui solo mozzarella piemontese” come presunta e oggi confutata garanzia di qualità.

Perché quando c'è stato il falso allarme diossina, poi confutato da indagini a tappeto, la Campania ha risposto all'appello con trasparenza, correttezza, pulizia e garanzia di qualità della mozzarella di bufala DOP.

Della mozzarella blu oggi i giornali parlano sottovoce, solo sull'edizione locale, come se fosse un segreto di stato che è meglio non rivelare a orecchie indiscrete. Ne potrebbe venir danneggiata l'immagine della prima capitale d'Italia che con trepidazione continua il conto alla rovescia per i festeggiamenti dell'anniversario nazionale... I fatti, però, restano. E le conseguenze procedono su molti binari:

  1. Il rapporto è stato subito inviato per conoscenza al Ministero della Salute, e intanto in procura continuano ad arrivare sempre nuovi casi di mozzarelle blu.

  2. In questi giorni sono dunque partite le prime verifiche tra i 722 stabilimenti piemontesi che producono formaggi (esclusi i piccoli caseifici di alpeggio). Il problema più comune, secondo i pm, deriva dal fatto che le aziende, per risparmiare, utilizzano non l’acqua potabile, ma quella dei pozzi, che può essere però facilmente inquinata da batteri, oppure da diserbanti e pesticidi che filtrano nel terreno.

  3. la competenza delle verifiche spetta alle Asl, ma sinora non sono mai state effettuate. Il ministero ha inviato una lettera di sollecito agli assessorati regionali ma intanto la procura ha deciso di ovviare alla mancanza cominciando le ispezioni tramite la polizia giudiziaria e i carabinieri dei Nas.

lunedì 7 febbraio 2011

La battaglia dei Maori

Esposti nelle teche di un museo, additati dagli scolaretti e fotografati dai curiosi, non trovano pace i resti umani che invece dovrebbero essere onorati e ricevere degna sepoltura in patria. Almeno fino ad oggi. Almeno fino a quando la battaglia dei Maori, popolazione della Nuova Zelanda, non avrà ricevuto il riconoscimento internazionale all'umana pietà per i Toi Moko, le teste essiccate e decorate dei guerrieri caduti in battaglia che oggi fanno bella mostra nei musei e nelle collezioni private di mezzo mondo.

La vittoria di una battaglia lunga quarant'anni peserà come un macigno sui direttori di quei luoghi di cultura che, in nome di una non ben comprensibile cultura, negano alle spoglie umane di ritrovare pace e conforto tornando alla terra.

Secondo la legge internazionale, crani e ossa umane perdono il diritto all'umanità quando rappresentano oggetto di studio archeologico o scientifico, è stato, in ultima analisi, il messaggio proveniente dalle sfere alte del museo torinese di Criminologia. Il suo cosiddetto museo, intitolato a Cesare Lombroso, è un luogo dove centinaia di crani di criminali, briganti, pazzi e prostitute sono esposti l'uno accanto all'altro senza nessun fine didattico eccetto l'elogio della follia di un malato che, giovane, ha teorizzato la predisposizione genetica al crimine dei meridionali per giustificare il genocidio sabaudo; negli ultimi anni di vita si è intrattenuto in sedute spiritiche per entrare in più diretto contatto con il mondo dei morti.

Per quel luogo, dove sono esposti i resti dei briganti meridionali, lo stato italiano ha messo a disposizione 10 milioni di euro destinati ai festeggiamenti di un'unità nazionale conquistata uccidendo quegli uomini e quelle donne;

in quel luogo ogni anno le scolaresche imparano che è buono e giusto discriminare un uomo in base alla conformazione del volto e alla provenienza geografica;

da quel luogo parte il messaggio che è eticamente corretto negare il riposo della tomba ai rei che pagheranno anche post motem la colpa di essere nati nel posto sbagliato.

Quando il museo degli orrori è stato inaugurato, nel novembre 2009, da tutte le parti si sono alzate inascoltate le voci di sdegno di comitati e associazioni meridionaliste. A maggio 2010 una manifestazione autorizzata, a Torino, si è vista negare le vie del centro cittadino e chiudere in faccia le porte de museo. Tutti hanno girato la testa dall'altra parte.

Oggi la battaglia dei Maori promette di dare nuovo slancio alle rivendicazioni di chi chiede degna sepoltura per degli esseri umani: padre Loffredo del rione Sanità a Napoli, disposto ad accogliere le ossa al cimitero delle Fontanelle; Amedeo Colacino, lontano erede di quel Giuseppe Villella involontaria scintilla che accese la mente di Lombroso; i milioni di meridionali che chiedono solo di onorare quel manipolo di eroi che ha combattuto per l'indipendenza di un regno contro l'invasore.


I finti fannulloni di Pomigliano





Li avevano spacciati, gli operai di Pomigliano, come i fannulloni per antonomasia, colpevoli di assentarsi di assenteismo ingiustificato nel giorno della partita come per ogni altra pretestuosa occasione; lo avevano giustificato, i politici, come un provvedimento contrattuale unico nel suo genere, che non si sarebbe ripetuto, ma serviva per dare l'esempio sul modo di comportarsi e lavorare; avevano taciuto, quelli della Fiat, sulla realtà dei fatti: un articolo del contratto pensato per Pomigliano e firmato coscientemente dal Governo, recita che il caso Pomigliano, la firma di quel contratto, avrebbe fatto da apripista ad altri contratti uguali.

Per la Fiat che sceglie il sindacato per rappresentare i suoi dipendenti, rifiuta il contratto nazionale dei lavoratori, nega i diritti conquistati in lunghi anni di scioperi e di proteste; per le altre piccole e medie aziende che si sentiranno autorizzate a seguire l'esempio di una multinazionale che di italiano ha soltanto i soldi con cui un Governo connivente e indifferente continua a finanziare.

Oggi l'Italia si sveglia a e accorge che, ops, i fannulloni di Pomigliano si sono rivelati essere lo stabilimento Fiat con il più basso tasso di assenteismo e quindi quel contratto pensato per punire i fannulloni andava esteso a chi fa più assenze più o meno giustificate. Quindi a Mirafiori, Torino. E poi, già che ci siamo, a Melfi, Cassino, Termoli.... E perché no, a tutta la categoria dei metalmeccanici, dei dipendenti, degli italiani e degli esseri umani.

Quando è stato il giorno di Pomigliano, nessuno ha voluto ascoltare il campanello d'allarme. Secondo i “lavoratori” benpensanti i terroni, i fannulloni, gli scansafatiche che rubano lo stipendio meritavano quella punizione. Avevano dimenticato di essere lavoratori, italiani, esseri umani. Oggi che la frittata è fatta si riscoprono Fratelli d'Italia, come ogni volta che c'è da chiedere aiuto.

L'università senza storia e senza terroni


Gli Atenei del sud esclusi dall'agenzia che valuterà le performance universitarie e deciderà i fondi da stanziare ad ogni università. Basta anche studiare storia, italianistica, estetica e archeologia. Nell'Italia “verde”de futuro, del progresso, del lavoro non serve saper parare correttamente la propria lingua e conoscere la storia.

La notizia (difficile anche solo da trovare sul web) è una diretta e logica conseguenza della riforma voluta da Mary super star, che ha suddiviso gli atenei tra quelli di serie A e quelli di serie B, suddivisi per classi di merito mai ben specificate. Anche oggi che i giornali continuano a parlare di tutto, tranne di ciò che realmente interessa alla gente: la classe operaia del nord che dice no ai diritti calpestati ma che aveva taciuto fino ad oggi che la Fiat aveva calpestato solo i diritti degli operai del sud; gli studenti e i docenti del sud che dicono no ad una riforma che cancella la forma mentis dell'intellettuale e del meridionale dicendo che non ha più senso di esistere.

Fin troppo chiaro il disegno criminoso di chi, seduto al tavolo delle decisioni (il consiglio dei ministri) ha selezionato i membri che faranno parte del consiglio direttivo dell'Anvur (l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca).

Il Governo, e ci risiamo, è caduto nella cattiva abitudine di dividere la cultura in discipline buone e discipline cattive, alias inutili. Come di discriminare le università a seconda della location. E, sisa, dopo Roma non c'è mai stato niente di buono...

Alias: i 7 prescelti dalla Gelmini sono: Fiorella Kostoris e Andrea Bonaccorsi, economisti; la sociologa Luisa Ribolzi; il Genetista Giuseppe Novelli; il veterinario Massimo Castagnaro; il fisico Stefano Fantoni e l'ingegnere Sergio Benedetto.

Un'ultima chicca, come spunto per una riflessione personale: la riforma dell'università è stata approvata soltanto a fine dicembre 2010. Il MIUR, però, ha chiuso il bando per la presentazione delle candidature all'Anvur già lo scorso 30 settembre.

“Ho detto tutto”, spiegava il principe.