lunedì 26 luglio 2010


Ci risiamo. Sempre la solita solfa. "La Fiat è nata a Torino, ha addirittura il nome della città nella sua sigla. Non è questione di Nord o Sud è una questione di storia". Parola di Roberto Cota, il leghista neoeletto presidente della Regione Piemonte fino a quando il Tar non deciderà che è più onesto rifare le elezioni ( giacchè ha vinto con uno scarto di 9mila voti e ben tre liste truccate che gliene hanno procurati 30mila).
Quindi, secondo lui, va benissimo se a Termini Imerese non si è battuto un ciglio quando la Fiat ha deciso di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese e nemmeno siede più ai tavoli della trattativa per cercare una soluzione alternativa alla chiusura di attività dello stabilimento siciliano;
Niente da eccepire quando l'azienda torinese (falsa e neanche troppo cortese) ha ricattato gli operai di Pomigliano con la minaccia di un licenziamento di massa se non avessero accettato l'offerta di un nuovo accordo che azzera le conquiste sindacali degli ultimi cinquant'anni ma, al referendum sottoposto ai lavoratori, non ha avuto lo stesso consenso plebiscitario del 1861 "e allora non vale" ha controbattuto l'uomo col maglione. "Adesso facciamo una bella newco (stile Alitalia, e sappiamo tutti come è andata a finire) che non si iscrive a confindustria e non rispetta il contratto nazionale dei metalmeccanici, così i lavoratori meridionali ce li gestiamo come più ci pare e li mandiamo a casa quando non ci servono più"
Però c'è un limite a tutto.
Quando ci toccano Mirafiori non possiamo rimanere a guardare. Allora il Governo, gli Enti Locali e la stessa Confindustria (tutti imprenditori del nord) hanno protestasto alla volontà dell'uomo col maglione di produre in Serbia la nuova monovolume che era stata promessa allo stabilimento torinese. Promettendo, come al solito parola di Bossi padre), lauti finanziamenti, aiuti statali e incentivi alla produzione per non permettere che nel Nord Italia un solo centesimo vada perduto.
E' la storia a insegnarci che è sempre andata così.

martedì 13 luglio 2010

La criminalità calabrese colonizza il nord?


Poveri compaesani del nord. Stavolta li abbiamo colonizzti noi: rozzi, incivili, disonesti uomini del sud che hanno osato infiltrarsi tra le fila degli integerrimi uomini d'affari e politici ligi al loro dovere civile per insinuare la corruzione e il degrado laddove c'era soltanto senso di appartenenza e sacrificio per il bene comune.
Oggi, sulla home page del sito, La Stampa (leggi) titola a caratteri cubitali "'Ndrangheta e la colonizzazione della Lombardia". Vengono quasi le lacrime agli occhi a pensare ad una tale nefandezza.
Struttura unitaria con diramazioni in tutta Italia con una presenza capillare che, secondo gli inquirenti, ha il sapore di una vera e propria colonizzazione anche politica, avrebbe ottenuto l'accesso ad appalti e subappalti gestiti dalle amministrazioni locali. Certo dietro lauti compensi e favori di scambio.
Passa in secondo piano, ma è pur evidenziato dal collega Guido Ruotolo, il tentativo dell'organizzazione lombarda di distaccarsi dalla cellula madre, dal quartier generale origine del tutto che ha sede in Calabria, per gestire gli affari in proprio e non dover - forse - versare la quota di appartenenza all'organizzazione stessa.
Un senso degli affari, questo, tipicamente lombardo!

lunedì 12 luglio 2010

Il male oscuro della sovrintendenza archeologica

Gli scavi archeologici, i beni culturali patrimonio dell'umanità, le stesse risorse elargite con sempre maggior parsimonia dal ministero dei Beni Culturali sono un magna magna generale, oggetto di concupiscenza di ricchi e intellettuali, per il prestigio che ne deriva, non certo per il patrimonio culturale che rappresentano. Così Pompei, commissariata da quasi due anni "per la trascuratezza a cui era abbandonato il sito archelogico" sotto la precedente soprintendenza di Pompei e Ercolano, torna ad essere luogo di degrado, abbandono, indifferenza e case chiuse (perchè non visitabili). Sembra ancora di sentire nelle orecchie il rimbomobo delle risa di Bondi che, affascinato dalla installazione multimediale della Casa di Polibio, prometteva di trasformare Pompei in una meravigliosa Fondazione (di privati, di banche del nord, di nuovi "amici del potere") per privatizzare l'ultimo bene di inestimabile valore che è rimasto alle genti del sud dopo i ripetuti furti di cui è stato oggetto dopo il 1860.
Quei giorni sembrano lontani anni luce (anche se è stato soltanto lo scorso aprile). In quei tempi, alla presenza del neoeletto presidente Caldoro, il ministo comunicò il pesionamento della sovrintendente ai beni archeologici di Pompei ed Ercolano, facendo confluire la gestione degli uffici sotto la direzione ad interim di Giuseppe Proietti, già ex segretario generale del ministero dei Beni culturali ormai in pensione, soprintendente di Napoli e di Roma ed Ostia. Le redini sono salde nelle mani dell'homo bertolasi Marcello Fiori, riconfermato ad aprile per i prossimi 18 mesi.
La Soprintendenza dei Beni archeologici di Salerno, che include anche Caserta, Avellino e Benevento, non se la passa meglio. Lì è stata recentemente nominata direttrice Maria Luisa Nava, milanese, già coordinatrice della soprintendenza napoletana dal 2005, e preferica al pluririconosciuto Mario Pagano (già assegnatario dell'incarico poi trasferito nella soprintendenza di Caserta che nel frattempo è stata cancellata). A suo merito c'è da sottolineare, però, il record di annullamenti che, per la loro stessa numerosità, contribuiscono a tenerla attaccata alla sedia: fonte Repubblica (leggi) la sua nomina è stata infatti bocciata dal Tar e dal Consiglio di Stato, oltre che da un decreto del Presidente della Repubblica. E purtutta via continua a presiedere la ricercatissima carica e malgestire i pochi soldi della soprintendenza lasciando tutti esattamente così com'è, a cominciare da un sito internet che non informa su niente.
Chi ha avut ha avut, e chi ha dat ha dat

venerdì 2 luglio 2010

La vuvuzella e la voce della città


Stamane sull'edizione napoletana di Repubblica Salvatore Casaburi, scrittore napoletano e "amico" della Fondazione Premio Napoli, ha sollevato una riflessione che credo vada approfondita. Citando Tolstoj e Anna Karenina ha ricordato che "tutte le città serene si somigliano per il silenzio; ogni città infelice è invece rumorosa a modo suo".
Mi è venuto da pensare, su suo suggerimento, al rumore continuo, assordante, per qualcuno anche fastidioso, prodotto dalle vuvuzellas utilizzate dagli spettatori di questi mondiali ormai finiti per la nazionale italiana.
Casaburi ha ricordato le trombe di donna Antonietta, prodotte con materiali di recupero e rivendute in occasione della chiassosa festa di Piedigrotta. Quando la festa di Piedigrotta era una festa seria, apotropaica, enon la farsa folklorica e commerciale di oggi. Io ho ricordato le tammorre che, nel mio paese natale, accompagnano ancora oggi i balli in onore della Madonna delle galline. Un bel frastuono, nell'uno e nell'altro caso. Poi ho ricordato il silenzio di oggi, in unna città che non èla mia patria: la raggelante quiete di luoghi silenziosi, tranquilli, dove anche i bambini hanno timore di lamentarsi per paura di disturbare. La chiamano qualità della vita, riduzione dell'inquinamento acustico, serenità dell'anima di un popolo soddisfatto, lavoratore, preciso e attento.

Ai sudafricani, però, non interessa. Loro continuano a suonare la vuvuzela e ne hano installato una megalitica a Città del Capo mentre gli italiani tornano a casa con la coda tra le gambe, a capo basso, vittime della tracotanza di ex campioni del mondo che non hanno neanche saputo superare la fase dei gironi. Anche ai Paganesi importa poco: loro continuano a festeggiare chiassosamente la Madonna amica degli ovini. E a Napoli, tra le strade e i vicoli, fino al lungomare che ospita la festa di Piedigrotta, c'è ancora tanta gente che turba acusticamente la tranquillità falsa che non appartiene al sud.