sabato 31 ottobre 2009

Omicidio al quartiere Sanità

Si spara e si muore a Napoli. E le immagini di quel uovo omicidio firmato dalla malavita partenopea fanno il giro del mondo. I media calcano l'accento sull'indifferenza e l'omertà della gente che guarda e passa. Sul silenzio dei testimoni che non ci sono, nonostante la "taglia" promessa ai coraggiosi che vorranno collaborare alle indagini. C'è anche chi cita gli illustri precedenti letterari e cinematografici per dire che il resto dell'Italia è indignata fino a un certo punto di ciò che accade nelle strade di una delle città più popolose della penisola: gli italiani, quelli onesti e laboriosi, la loro dose di solidarietà e indignazione l'hanno già spesa tutta tra le pagine del libro di Saviano, o al cinema a guardare il film di Gomorra. Se i Napoletani non la vogliono smettere con la solita solfa dei morti ammazzati, cosa possono farci gli altri?


Per le strade di Napoli, però, si continua a morire. La Procura partenopea non ce la fa a tener dietro alla criminalità. Mancano i mezzi, gli uomini, le risorse e in parlamento si prepara anche una legge per rendere ancora più difficili le indagini. Ognuno si lega al dito i debiti del passato, ma i cattivi mettono in pratica nuovi delitti più velocemente di come i buoni scoprono i colpevoli. E hanno una memoria storica più lunga. Camorra 2 - Procura 1. E' stato appena arrestato un "latitante storico", condannato all'ergastolo nel 1995. Ma la malavita locale si è fatta "prestare" un delinquente "straniero" per far fuori Bacioterracino, probabilmente coinvolto nell'assassinio di Gennaro Moccia nel 1987.
"Io non ho paura.. non posso aver paura" ha detto la signora Bacioterracino. Ha le lacrime agli occhi, ma tiene i pugni stretti. A Napoli non ci si può permettere neanche il lusso di avere paura, perché tanto non serve a niente. Quello che serve, ed è anzi necessario, è un sussulto di orgoglio di chi in quelle strade sporche di sangue vive ogni giorno la propria esistenza.
Basta morti ammazzati, guerre di potere e perbenismo medioborghese di chi si lava le mani dicendo che quelle cose non lo riguardano. Siamo tutti sulla stessa barca. Una barca finita nell'ansa stagnante di un fiume, ma che con un pò di buona volontà e qualche colpo di remo può tornare di nuovo in gara.

lunedì 19 ottobre 2009

Campi di concentramento per i meridionali

"Tutti i criminali meridionali dovrebbero essere deportati in un luogo disabitato e lontano migliaia di chilometri dal Belpaese. In Patagonia, per esempio". Recita così una proposta di legge datata 1868 e firmata dal presidente del consiglio Luigi Federico Menabrea. Lo ha rivelato, qualche giorno fa, un articolo su cronache del Mezzogiorno poi ripreso a livello nazionale su La Stampa (leggi).
E sì che i briganti dovevano causare parecchi grattacapi ai nostri padri della patria. Se la storia fosse andata diversamente, quei briganti avrebbero avuto il riconoscimento di aver lottato per la Resistenza. Invece a vincere sono stati i Savoia, e allora bisognava eliminarsi dal suolo patrio. Allontanarli dalle famiglie, spezzare le radici con la terra d'origine e con tutto ciò che ogni uomo ha di più caro. Le esecuzioni capitali, gli arresti sommari, le cittadine distrutte e la militarizzazione delle campagne non erano sufficienti ad abbattere la lotta dei contadini alla loro terra e la battaglia per l'indipendenza dagli invasori venuti solo a portare nuove tasse. Patagonia, Mar Rosso, Tunisia... qualsiasi posto andava bene, purché quei malandrini fossero cacciati dall'Italia. C'è scritto sui documenti tenuti segreti fino ad oggi dal Ministero degli Esteri. Documenti bollenti.
A cui però gli stati esteri hanno il pudore di rispondere con il silenzio o un netto rifiuto. Per rispetto ai diritti umani, vogliamo sperare.
Ma i briganti meridionali non se la cavarono meglio per questo, purtroppo. Perché in Italia non c'è stato un vero lager per gli ebrei durante il ventennio fascista, la quello per i meridionali si e svetta ancora oggi sulla Valle di Susa. E' il forte di Fenestrelle, senza finestre e senza riscaldamenti. Furono deportati lì i briganti arrestati, ugualmente lontani dalla patria e da ciò che avevano di più caro. Senza coperte nei freddi inverni delle montagne piemontesi. Nessuno è sopravvissuto per raccontarlo, e la storia che si studia sui libri di scuola ha tutto l'interesse a non parlarne.

domenica 18 ottobre 2009

La storia fatta con le menzogne

Rieccoci a parlare del nostro caro sud. Stavolta la goccia che ha fatto traboccare il vaso è l'editoriale di Giorgio Bocca su Venerdì di Repubblica in edicola questa settimana. Titola "E, dopo la Reisstenza, si processa il Rinascimento". Perché, secondo lui, "ci sono due modi di scrivere la storia". Quella che guarda "dall'alto" vizi e virtù di un'epoca e quella che spia "dal buco della serratura". Gli storici non saranno molto felici di sentirsi definire guardoni.
Con un concetto manicheo di interpretazione della realtà, che ha il sapore di una visione della storia e del mondo parecchia datata a dire il vero, il mio caro collega rifiuta in blocco le nuove ricerche storiche che puntano ad approfondire e scoprire quanto rimasto non detto nelle vicende del nostro glorioso Risorgimento, limitandosi ad accettare in blocco il programma scolastico gentiliano che elogia le virtù meravigliose e splendide di un'Italia unificata da "élite coraggiose".
Il piemontesissimo Bocca (vedi biografia su wikipedia) divide le acque come Mosè. Da un lato ci sono le meravigliose sorti e progressive della "storia come volontà di progresso", "un fiume in piena che cambia la vita degli uomini e la stessa natura"; dall'altra parte c'è chi "si compiace dei vizi e delle umane viltà", come la "risacca" che porta a riva tutti i detriti, racconta di un "re galatuomo" a cui interessava soltanto andare a caccia di cervi e di contadine, "elenca le macerie e le vittime" di un'Italia unificata in accordo con la malavita locale.
"Oggi evidentemente siamo in un periodo di risacca e di revisionismo", sono d'accordo con lui. Ma forse a me questo non dispiace. Io non mi definisco uno storico senza averne la qualifica, e non ho pubblicato l'ennesimo libro sulla Resistenza italiana per vendere milioni di copie raccontando le reazioni dei miei oppositori a un mio saggio storico. Però un pò di storia l'ho studiata anch'io.
Una revisione del Risorgimento è oggi necessaria, perché siamo stanchi di sentirci raccontare dell'altruismo con cui le genti del nord ci hanno liberato dalla barbarie, dall'oppressione e dalla povertà tirannica in cui ci costringevano i Borboni.
Perché non è vero che siamo "la parte peggiore degli italiani, attendista e opportunista" che si ribella alle "minoranze del coraggio e dell'onestà". Ma con coraggio e onestà ribadiamo che, prima dell'unificazione nazionale, nel Regno delle due Sicilie non si stava poi tanto male. E se non avessimo dovuto pagare i debiti di una guerra di unificazione non voluta, magari adesso staremmo anche meglio. Senza alcuna "diffamazione della minoranza coraggiosa", soltanto raccontando quello che rivelano le carte nascoste di un Risorgimento raccontato soltanto a metà.
Gli storici di oggi sono definiti "nostalgici dello Stato, della Chiesa e dei Borboni", perché negano "quel miracolo di coraggio" che trasformò Torino da paese di pastori in capitale d'Italia attraverso una guerra di conquiste e soprusi che violò tutti gli accordi diplomatici internazionali e i diritti umani.