lunedì 7 febbraio 2011

La battaglia dei Maori

Esposti nelle teche di un museo, additati dagli scolaretti e fotografati dai curiosi, non trovano pace i resti umani che invece dovrebbero essere onorati e ricevere degna sepoltura in patria. Almeno fino ad oggi. Almeno fino a quando la battaglia dei Maori, popolazione della Nuova Zelanda, non avrà ricevuto il riconoscimento internazionale all'umana pietà per i Toi Moko, le teste essiccate e decorate dei guerrieri caduti in battaglia che oggi fanno bella mostra nei musei e nelle collezioni private di mezzo mondo.

La vittoria di una battaglia lunga quarant'anni peserà come un macigno sui direttori di quei luoghi di cultura che, in nome di una non ben comprensibile cultura, negano alle spoglie umane di ritrovare pace e conforto tornando alla terra.

Secondo la legge internazionale, crani e ossa umane perdono il diritto all'umanità quando rappresentano oggetto di studio archeologico o scientifico, è stato, in ultima analisi, il messaggio proveniente dalle sfere alte del museo torinese di Criminologia. Il suo cosiddetto museo, intitolato a Cesare Lombroso, è un luogo dove centinaia di crani di criminali, briganti, pazzi e prostitute sono esposti l'uno accanto all'altro senza nessun fine didattico eccetto l'elogio della follia di un malato che, giovane, ha teorizzato la predisposizione genetica al crimine dei meridionali per giustificare il genocidio sabaudo; negli ultimi anni di vita si è intrattenuto in sedute spiritiche per entrare in più diretto contatto con il mondo dei morti.

Per quel luogo, dove sono esposti i resti dei briganti meridionali, lo stato italiano ha messo a disposizione 10 milioni di euro destinati ai festeggiamenti di un'unità nazionale conquistata uccidendo quegli uomini e quelle donne;

in quel luogo ogni anno le scolaresche imparano che è buono e giusto discriminare un uomo in base alla conformazione del volto e alla provenienza geografica;

da quel luogo parte il messaggio che è eticamente corretto negare il riposo della tomba ai rei che pagheranno anche post motem la colpa di essere nati nel posto sbagliato.

Quando il museo degli orrori è stato inaugurato, nel novembre 2009, da tutte le parti si sono alzate inascoltate le voci di sdegno di comitati e associazioni meridionaliste. A maggio 2010 una manifestazione autorizzata, a Torino, si è vista negare le vie del centro cittadino e chiudere in faccia le porte de museo. Tutti hanno girato la testa dall'altra parte.

Oggi la battaglia dei Maori promette di dare nuovo slancio alle rivendicazioni di chi chiede degna sepoltura per degli esseri umani: padre Loffredo del rione Sanità a Napoli, disposto ad accogliere le ossa al cimitero delle Fontanelle; Amedeo Colacino, lontano erede di quel Giuseppe Villella involontaria scintilla che accese la mente di Lombroso; i milioni di meridionali che chiedono solo di onorare quel manipolo di eroi che ha combattuto per l'indipendenza di un regno contro l'invasore.


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