“L'Italia ha un debito storiografico con il sud, e sono maturi i tempi perchè quel debito venga sanato per il bene dell'Italia intera” ha dichiarato Paolo Mieli, ex direttore de La Stampa e del Corriere della Sera, durante la lectio su Risorgimento e Antirisorgimento tenuta alla Biennale Democrazia. Di fronte a un luogo strategicamente fondamentale per il Risorgimento italiano, la sede del primo Parlamento italiano, il luogo dove Vittorio Emanuele II è stato nominato re di un'Italia suo malgrado unita, a Torino si è consumato un ancor più fondamentale momento di riflessione critica del procedimento storico che a quell'unità ha portato, con le sue luci e le sue ombre, e le sue colpe ancora da espiare.
Dopo 150 anni di verità taciute a causa di conflitti ideologici, storici e culturali tra cattolici e socialisti, laici e repubblicani, tra sensi di colpa e fuga ideologica dall'eredità fascista, sta affiorando nella gente il bisogno di raccontare le verità, anche scomode, che hanno portato ad un'Italia unita “che nessuno aveva programmato in questo modo, ad eccezione di Mazzini”.
Le verità troppo a lungo negate hanno invece bisogno di essere raccontate, come dimostrano i saggi storico critici sull'altra faccia del Risorgimento che vendono migliaia di copie. “E allora diciamolo – esorta Mieli – come hanno fatto gli USA raccontando tutti gli aspetti della guerra di secessione che mise l'uno contro l'altro il Nord e il Sud del paese. Perché il sud è stato conquistato con una durezza e un'asprezza di modi che non meritava” e che non è degna di un paese civile.
“Ricordiamo anche noi quel milione di vittime di una guerra civile, colpevoli di essere rimasti fedeli al proprio sovrano e di aver combattuto per la propria terra contro l'invasore. Smettiamo di chiamare briganti e di confonderli cin i criminali i partigiani meridionali che per 10 anni combatterono contro l'esercito sabaudo per liberare una terra invasa dallo straniero. Ricordiamo con rimpianto, ammirazione ed orgoglio gli oltre 10 milioni di immigrati che abbandonarono una terra dove non esisteva l'emigrazione, e che con ingegno e coraggio hanno fatto grandi i pesi dove si sono trasferiti (nord Italia incluso)”.
“Smettiamola, soprattutto, di commettere ancora l'errore tutto italiano di fare dei sogni così grandi e ambiziosi da scontrarsi ogni volta con la limitatezza di orizzonti con cui siamo in grado di trasformarli in realtà”.
A 150 anni di distanza dai fatti che distrussero un regno florido, colpirono una popolazione attaccata alla corona e alla propria terra, unificarono territorialmente un paese frammentandolo socialmente e ideologicamente al proprio interno così da creare i presupposti per l'Italia divisa di oggi, è giunto il tempo che l'Italia sappia e che i giovani sappiano. Accompagnati nella nuova consapevolezza da insegnanti consapevoli di una frattura da colmare, di un debito da ripagare con cari interessi, “perché il sud riacquisti consapevolezza di ciò che è stato e di quanto importante possa tornare ad essere per il proprio bene e per l'Italia tutta”.
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