Caro architetto Lanzetta, e cari tutti che avete ripreso la sua lettera aperta,su un punto devo chiedervi scusa. Non mi ero mai reso conto di quanto parlare di camorra o parlare della vicenda dei detenuti di Fenestrelle sia diventato delicato, in questo paese dove le sensibilità sono esasperate e le spaccature regionali sono arrivate a livelli di odio. La camorra e Fenestrelle sono due problemi ben diversi, in realtà: l'uno, una tragedia attuale del nostro paese (tutto, mica solo di Napoli); l'altro, un episodio del passato, con risvolti vergognosi, sì, ma oggetto attualmente di una vera e propria mistificazione (abbiate pazienza, ci ritornerò). Non importa: tutt'e due i problemi (e potrei aggiungere la rivolta di Masaniello, che egualmente ho toccato in quell'intervento e mi ha attirato da Napoli lettere di insulti) oggi toccano una suscettibilità così esasperata, e qualunque accenno a questi temi provoca reazioni così violente, che viene voglia di non parlarne neanche più (che non sarebbe, lo vedete anche voi, un bel risultato). Io questo non lo sospettavo, e non lo sospettava neanche Piero Angela, così attento – molto più di me – alle aspettative e alle reazioni degli spettatori. Capisco ora che sentirci discorrere col sorriso sulle labbra di questi argomenti ha ferito delle sensibilità, e di questo chiedo scusa.Detto questo, non devo chiedere scusa di nient'altro, e mi piacerebbe che anche voi provaste a guardare con uno sguardo oggettivo e critico la lettera aperta che mi avete indirizzato e, in tanti, rilanciato. Voi avete creduto automaticamente che parlare della camorra, e dire una verità storica ovvia, cioè che la camorra è un fenomeno radicato a Napoli da molto tempo, significhi denigrare Napoli. Non è così, proprio come dire che in passato in Piemonte ci sono state reazioni vergognose di razzismo contro gli immigrati dal Sud non significa denigrare il Piemonte; dire che la politica coloniale dell'Italia in Libia è stata criminale non significa denigrare l'Italia (erano i governi democristiani degli anni Cinquanta che la pensavano così, e processavano gli storici che osavano parlare di queste cose); e nemmeno riconoscere gli errori che la dinastia sabauda e il governo italiano hanno compiuto nel gestire l'Italia unificata significa denigrare qualcuno.Per voi, invece, il solo fatto di parlare di quegli argomenti significa denigrare Napoli. Scusatemi, ma non sono d'accordo, anche perché altrimenti parlare dei crimini dei Savoia vorrebbe dire denigrare il Piemonte, e io a questo gioco mi rifiuto di starci! Voi volete "invitare quanti si esprimono su Napoli, i Napoletani e la Napoletanità, ad un soggiorno adeguatamente lungo in quella città", ma quando mai io mi sono espresso su Napoli, i Napoletani e la Napoletanità? Napoli è una città che conosco e amo, dove ho avuto una borsa di studio dell'Istituto Croce, dove ho dei parenti: per questi motivi dovrei tacere che la camorra è un fenomeno napoletano? Napoli è stata, ed è ancora, una grande capitale, sede di una vita intellettuale sofisticatissima, e al tempo stesso è una città nei cui quartieri popolari è radicata, ed era radicata anche in passato, la camorra: è vero oggi e a quanto pare era vero anche nel Seicento, e perché mai uno storico non dovrebbe dirlo? Ma non vedete che qui la vostra sensibilità è esasperata, e vi porta a una reazione fuori luogo? E' terribile, guardate, che ogni intervento, ogni affermazione, ogni studio storico che riguarda Napoli e il Sud sia sentito come una presa di posizione in una battaglia pro o contro: così non si fanno né memoria né storia, e invece l'Italia ha un gran bisogno di tutt'e due (e più di storia, che cerca di essere fredda e oggettiva, che non di memoria). Lo ripeto: se vi ha urtato il fatto che parlando di camorra io abbia sorriso, lo posso capire. Sono argomenti di cui bisogna parlare solo apprezzandone la tragicità. Ma leggendo la vostra lettera quello che traspare è che secondo voi io di quell'argomento non avrei dovuto parlare affatto, perché il solo fatto di parlarne significa "dipingere Napoli come un'eccezione", "denigrare un popolo" e via di questo passo. Ma vi rendete conto (so che non è questa la vostra posizione, sia chiaro) che questo è lo stesso, identico atteggiamento che ha spinto certa gente a prendere le distanze da Roberto Saviano? Quanto al fatto che il Risorgimento abbia avuto pagine nere, che la dinastia dei Savoia (che non ha certo le mie simpatie: io, se volete sapere le mie posizioni ideologiche, sono comunista) abbia governato per lo più assai male questo paese, che lo stato italiano (non piemontese: abbiate pazienza, ma anche voi dovete imparare a uscire dai luoghi comuni e dire le cose come stavano: quello era lo stato italiano, l'esercito che ha represso il brigantaggio era l'esercito italiano, reclutato in tutto il paese compreso il Mezzogiorno, il governo era il governo italiano, pieno di ministri provenienti da tutte le regioni e anche meridionali) abbia gravi colpe, chi mai nega tutto questo? Ma come potete esservi abituati a pensare in modo così elementare, da credere automaticamente che se uno parla della camorra, allora attacca Napoli e difende i Savoia? Ma via!Insomma: posso chiedervi di non continuare a pensare in bianco e nero, o peggio ancora, in termini di "noi e loro"? Di ammettere che l'industriale del Nord che si rivolge all'ecomafia e il camorrista del Sud che lo serve sono delinquenti entrambi? Non sarebbe così difficile, così come non dovrebbe essere difficile (generazioni di grandi studiosi meridionali l'hanno fatto, fin dall'indomani dell'Unità) indagare gli errori e le colpe dell'Italia unita senza per questo ricorrere alla favoletta infantile della prosperità borbonica (se qualcuno di voi salta sulla sedia, sono pronto al confronto anche su questo: ma con dati e cifre, non slogan).Due parole su Fenestrelle. Anche qui, sapete, bisogna uscire dai luoghi comuni. Noi in Piemonte amiamo quel luogo, che è stata una difesa della nostra indipendenza contro le invasioni straniere, e che anche nel suo ruolo di prigione ha simboleggiato molte cose giuste: pensate un po' che ci è stato rinchiuso l'arcivescovo di Torino, che si era opposto alle leggi che abolivano i privilegi della Chiesa e si era permesso di invitare il suo clero a disobbedire alla legge – e io non posso reprimere un brivido di orgoglio al pensare che il governo piemontese, allora, ha saputo fare questo, qualcosa che mai più un governo italiano di oggi o di domani oserebbe fare. Ebbene, noi piemontesi dobbiamo abituarci a sapere che questo luogo a noi caro è stato anche luogo di reclusione, e di morte, per migliaia di soldati napoletani deportati dal Sud: non è facile, ma dobbiamo farlo, e lo stiamo facendo. Allo stesso modo, caro architetto, cari tutti, sarebbe bene che dall'altra parte si smettesse di propalare luoghi comuni, di usare parole come lager e Auschwitz, che si incoraggiassero studi seri sul problema: si vedrebbe allora quali erano davvero le condizioni di detenzione, che erano diversissime a seconda dell'atteggiamento assunto dai detenuti; si potrebbe parlare di cifre in modo serio, evitando di confondere, come avviene adesso, l'insieme degli imprigionati al Nord con i prigionieri deportati a Fenestrelle, che furono solo una minoranza del totale; si avrebbero finalmente delle cifre serie sui morti; e si potrebbero fare dei confronti con le condizioni in cui erano detenuti i prigionieri di guerra, e i relativi tassi di mortalità, nelle altre guerre dell'epoca, ad esempio la guerra civile americana (e conoscendo quei casi, sono abbastanza sicuro che Fenestrelle non risulterebbe un luogo di detenzione peggiore di quanto non fosse consueto nelle guerre di allora). In ogni caso, vi prego di riflettere e di dirmi che cosa, in quel che ho detto, possa mai essere descritto come rivolto a "negare ciò che già si sa ed è stato pubblicato": ciò che si sa davvero, ahimé, è poco, e sarebbe bene che se ne sapesse di più, anche perché nessuno fa così male alla verità storica di chi "crede" di sapere già tutto.Finalmente, scusatemi ma le ultime righe della vostra lettera aperta mi suscitano al tempo stesso simpatia e ribrezzo. Tutti vogliamo costruire una società italiana migliore, ma il modo per farlo non consiste nello schierare una parte d'Italia contro l'altra e nell'individuare (centocinquant'anni dopo!) dei nemici da aggredire. "Ci avete tolto la memoria"? A chi si riferisce esattamente questa seconda persona plurale? A me, per caso? O ai piemontesi, colpevoli evidentemente di appartenere a una razza inferiore? Su quale gruppo umano scaricate questa responsabilità collettiva? Mi piacerebbe molto saperlo, ma dubito che possiate dirmelo; anzi, meglio: ho fiducia che, riflettendoci, anche voi riconoscerete che questo linguaggio non ha senso. In questo modo parlavano i nazisti, non si parla così in un confronto civile e in una democrazia.Ancora una cosa, a momenti me ne dimenticavo: qualcuno di voi mi chiede "la nota bibliografica di tali ricerche, oltre che di quelle relative all'alleanza altresì di natura camorristica che si sarebbe instaurata tra detenuti "Napolitani" a Fenestrelle e carcerieri ugualmente "Napolitani"". Premetto che "tali ricerche" non hanno per nulla a che fare, come mi viene contestato, con "la matrice camorristica innata nella natura napoletana", linguaggio questo che non c'entra nulla con il mio mestiere, la storia: dubito che esista la "natura" napoletana, semmai esistono la storia, la cultura, la civiltà, la tradizione; e dubito, anzi no, so per certo che in tutto ciò non c'è proprio niente di "innato". Detto questo, i documenti che secondo me dimostrano molto chiaramente l'appartenenza di Masaniello ad ambienti simili a quelli dell'odierna camorra, e configurano la sua immagine come quella d'un boss di quartiere, sono presentati nella biografia di Silvana D'Alessio, storica dell'università di Salerno, Masaniello, edita a Roma nel 2007 dalla Salerno Editrice. Il fatto che i detenuti a Fenestrelle nei primi anni Sessanta dell'Ottocento giocassero a soldi, e che guardie – anch'esse di origine meridionale, come risulta dai loro dati anagrafici – prelevassero sulle vincite al gioco una tangente giustificandola come "diritto di camorra" risulta testualmente dai verbali di un processo per il ferimento d'un detenuto; la documentazione è conservata all'Archivio di Stato di Torino ed è stata esposta recentemente in una mostra documentaria intorno ai problemi dell'Unità d'Italia. Siccome in molte mail che ho ricevuto questo particolare è stato accolto con incredulità e derisione, dovrei forse sottolineare che il gioco d'azzardo nelle prigioni di una volta era molto diffuso, e che non aveva nessun carattere allegro o giocoso: nella società del passato, il gioco è sempre stato praticato con disperazione proprio negli ambienti più marginali e miserabili. Quanto al fatto che delle guardie potessero essere anch'esse meridionali, che pure ha suscitato stupore, vi invito a riflettere che lo scopo della detenzione di tante migliaia di soldati a Fenestrelle era appunto di convincerli, con mezzi che oggi possiamo tranquillamente definire indegni di un paese democratico, a prendere servizio nell'esercito italiano.Sperando di ricevere da voi molte repliche, e di poter continuare la discussione, vi saluto cordialmente (non senza aggiungere, per quelli di voi che me l'hanno chiesto, che sono pronto a qualunque incontro o intervista).Alessandro Barbero